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È morto Harold Bloom: critico letterario, creò il "Canone occidentale"

Harold Bloom, uno dei più famosi critici letterari statunitensi, e autore del saggio del 1994 «Il Canone Occidentale» in cui metteva al centro la superiorità di autori bianchi e maschi come Shakespeare, Chaucer e Kafka, è morto in un ospedale di New Haven a 89 anni.

La morte è stata confermata dall’università di Yale e dalla moglie Jeanne, secondo cui ancora giovedì Harold aveva fatto lezione. Molti libri di Bloom - inconsueto per un accademico - erano finiti sulla lista dei bestseller: tra questi, "The Book of J" del 1990 in cui, sfidando le convenzioni degli studi biblici, aveva suggerito che il Dio della tradizione giudeo-cristiana era un personaggio letterario inventato da una donna vissuta alla corte di re Salomone che avrebbe scritto i primi cinque libri del Vecchio Testamento.

Prima, a decretarne il successo come critico, era stato «L'Angoscia dell’Influenza», uscito nel 1973, secondo cui tutto ciò che risaltava per originalità, creatività ed estetica era il frutto di una lotta freudiana sostenuta da ogni autore contro la tradizione e autori venuti prima di lui. Fu in quegli anni che Bloom, acceso polemista, entrò in rotta di collisione con le nuove tendenze di quella che lui chiamò la «scuola del risentimento» degli ambienti accademici: ne facevano parte, come ricorda il New York Times, «multiculturalisti, marxisti, femministi, neocon e tutti quelli che, a suo avviso, tradivano il fine reale della letteratura». A loro fronte Bloom si era eretto a paladino del «Canone occidentale», una gerarchia dei 26 scrittori che avevano forgiato la visione del mondo della civiltà europea/americana: in testa a tutti Shakespeare, e poi anche Dante insieme a Molière, Cervantes, Tolstoj, Freud, Kafka e Ralph Waldo Emerson, quest’ultimo considerato «la figura centrale della cultura americana».

«Shakespeare è Dio», diceva Bloom: i suoi personaggi sono reali e hanno dato forma alla percezione occidentale di ciò che è umano, come poi scrisse in «Shakespeare, l’invenzione dell’uomo» del 1998 pubblicato in Italia, come il resto dei suoi libri, da Rizzoli.

Il critico aveva una memoria prodigiosa - oltre a Shakespeare poteva recitare il Paradiso Perduto di John Milton, l’opera di William Blake e la Bibbia ebraica - e una passione sviscerata per il linguaggio e la lettura. Era nato nel Bronx in una famiglia ebrea ortodossa di recente immigrazione e solo a sei anni aveva cominciato a parlare inglese. Nella sua lunga vita aveva scritto più di quaranta libri. Trancianti le stroncature come quando Dario Fo vinse il Nobel e per il critico di Yale fu «un riconoscimento ridicolo» mentre di Toni Morrison, di cui peraltro era amico, diceva che dopo «Amatissima» aveva scritto solo romanzetti da supermercato. Altrettanto trancianti i giudizi dei colleghi su di lui che lo giudicavano un «populista». «Fai il suo nome in un dipartimento di letteratura e tutti storcono gli occhi», disse nel 2011 a The New Republic lo studioso britannico Jonathan Bate.

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