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Le maschere che abitano il mondo calabrese di Familiari

Spaccato sociale, album di vite segnate dal tempo, Rocco Familiari torna in libreria con “Donna Brigantia e altre storie” (Marsilio editore, 249 pagine, 16 euro) presentando al lettore una galleria di figure molto vivide e fisiche fra cui Arzabandera, 'U Lupu, Occhibelli, Peppelatro, Cacasuci. Maschere che abitano il mondo calabrese dell'autore ma il rischio, anche concreto, di una narrativa folkloristica viene scongiurato con l'attenzione al linguaggio e ad una prosa vivace, in cui la finzione si mescola e si arricchisce di fatti reali e ricordi di vita vissuta, impreziosite da stoccate di denuncia sociale attualissima.

Scrittore e drammaturgo, Rocco Familiari è nato ad Addis Abeba nel 1939, è stato il fondatore del Festival internazionale del Teatro di Taormina nel 1976, già presidente dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo e dell'istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, nel giugno del 2005 il Presidente della Repubblica gli ha conferito il Diploma di benemerito della cultura e dell'arte per l'impegno nella promozione e valorizzazione della cultura teatrale italiana.

La sua vita è strettamente legata al mondo teatrale («in cuor mio mi sento un drammaturgo più d'ogni altro ruolo, i miei personaggi sono vivi») senza dimenticare il valore del suo lavoro da traduttore - nel 2010 tradusse “Il diavolo in corpo” di Raymond Radiguet - e più recentemente, quella integrale con commento critico del Woyzeck di Brüchner (edita da Pagine).

Come nasce questa sua raccolta di storie?

«Tre anni fa, immerso in un altro lavoro, iniziarono a venirmi a trovare questi personaggi al mattino. Quasi per gioco, per una sorta di pulizia mentale, ho iniziato a scriverne uno e poi un altro ma in poco tempo mi hanno preso la mano e ogni mattina una nuova figura voleva essere descritta. A quel punto mi sono deciso a iniziare a scavare nei miei ricordi, da cui traggo lo spunto per lasciar andare la fantasia di cui sono intrise queste mie storie; alla fine era diventata quasi un'ossessione e ho dovuto chiudere la porta per poter concludere la traduzione del Woyzeck. Quando ho ripreso in mano queste storie mi sono reso conto che avevo composto non una galleria di personaggi ma una sorta di affresco sociale. Parimenti, anche la scrittrice e responsabile della narrativa, Chiara Valerio, ne è stata colpita e abbiamo scelto di pubblicare la raccolta».

Il primo a leggere questo testo fu Cesare De Michelis, presidente della casa editrice Marsilio, scomparso nell'agosto del 2018. De Michelis ebbe la cattedra al Dipartimento di Italianistica a Padova ma ancor prima è stato assistente di ruolo all'università di Messina. Vuole condividere un ricordo?

«Cesare era un uomo buono. L'ho conosciuto tempo fa, proprio durante i suoi anni in cattedra al Magistero mentre io avevo la cattedra di diritto del lavoro a Economia e commercio. Aveva un grande fascino e non passava certo inosservato. Mi creda, fece girare parecchie teste in città…»

I suoi personaggi cartacei sono tutti segnati dalla vita, a partire da Donna Brigantia. Perché questa scelta?

«L'ostessa Donna Brigantia con cui apro la raccolta è una donna forte e la sua trattoria esiste davvero nell'Aspromonte, un punto di riferimento per tutti i viaggiatori. L'episodio che racconto in cui un uomo di legge si intestardisce a pescare in un laghetto, nonostante l'avessero ammonito che lì si trovassero delle grosse trote “riservate” ad un boss locale, è realmente accaduto. Ho mescolato le carte, coperto le tracce, ma in quella occasione, l'ostessa con il suo carattere belluino, risolse la situazione ma intimò a quell'uomo stimato, di non farsi mai più vedere. E così avvenne. Fu un momento davvero difficile».

Tutti i personaggi hanno un soprannome che li contraddistingue e li rende figli della loro terra. Esiste una narrativa del Sud?

«Non credo d'aver fatto del folklore, era un rischio tangibile. Questo genere narrativo pur se ricco di particolari, è trasversale, racconta la nostra terra e non solo. E gli ultimi due racconti, poi, si distanziano ulteriormente per il tono con cui sono scritti, completando questa galleria di personaggi cui tengo molto».

Oggi la narrativa è molto attenta, decisamente politically correct. Invece i suoi racconti, le sue descrizioni femminili, sono molto forti, decisamente fisiche. Come mai?

«Mi sembra una grande ipocrisia questo volersi censurare a tutti i costi quando si scrive. La bagarre sul #MeToo mi ha lasciato molto perplesso così come le denunce a distanza di decenni contro uomini di grande successo. Ci sono mascalzoni, certo, ma temo ci sia anche chi se ne voglia approfittare. Oggi per un corteggiamento spinto, come poteva avvenire nei miei anni di gioventù, si rischierebbe la galera».

E la sua Calabria, oggi, come sta?

«Nel 2007 ho scritto “Il sole nero”, il mio secondo romanzo, ambientato in Calabria e da cui è stato tratto un film con Valeria Golino. Il protagonista ritorna a casa e qui parlo del carattere dei calabresi che hanno tutte le virtù di questo mondo. E tutti i difetti. Un popolo in eterna contraddizione che quando si impegna in cose positive ottiene risultati incredibili. Purtroppo, lo stesso accade in senso negativo come dimostra la 'ndrangheta. La Calabria ha punte di eccellenza e sacche di arretratezza ma non è un motivo per non lottare per il bene comune. Dobbiamo augurarci il cambiamento».

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