Versatile, anticonformista, artigiano delle note e cantastorie di se stesso: acclamato nel 2013 dalla CNN come “musical genius” e premiato nel 2018 come “Migliore eccellenza italiana nel mondo” per la musica, Alessandro Quarta è uno dei violinisti più noti e apprezzati. Anima salentina, classe 1976, ha iniziato a studiare lo strumento all'età di tre anni, perfezionandosi con eccellenti maestri come Salvatore Accardo, Abrham Stern, Zinaida Gilels, Pavel Vernikov. Ricordato dal grande pubblico per le recenti esibizioni con il ballerino Roberto Bolle e con “Il Volo” all'ultimo Festival di Sanremo, Quarta vanta collaborazioni del calibro di Boy George, Liza Minelli, Lenny Kravitz, Celine Dion, Carlos Santana, Lionel Richie, Joe Cocker, Lucio Dalla, Jovanotti Emy Stewart e Dee Dee Bridgewater.
Sta portando in giro per i teatri italiani la sua ultima fatica, “Alessandro Quarta plays Astor Piazzolla”, candidato ai Grammy Awards. Il 30 novembre e l'1 dicembre si esibirà con l'Orchestra Femminile del Mediterraneo diretta da Antonella De Angelis a Lamezia Terme (Teatro Grandinetti) e Messina (Palacultura), nell'ambito delle stagioni musicali proposte rispettivamente da Ama Calabria e Accademia Filarmonica di Messina.
Perché l'album dedicato a Piazzolla?
«Piazzolla, uno dei più grandi compositori del 900, è stato “innovatore” di uno stile conclamato nella sua terra. Il disco nasce da una mia volontà di “riportare” il tango là dove è nato, nei bassifondi del porto di Buenos Aires, ballato da soli uomini, nudi, di fronte alle prostitute. Con Astor il tango cambia, si nutre di emozioni quale gioia, tristezza, nostalgia, la difficoltà di essere amato e di amare pur mantenendo le fondamenta importanti della sensualità e della sessualità».
Che rapporto ha con il pubblico e in che modo “comunica” la sua musica?
«Un artista deve aprirsi prima a se stesso e poi con il suo pubblico. Io cerco sempre di emozionarmi, condividendo me stesso attraverso le note che dipingo nell'aria. La musica, come un profumo, deve evocare sensazioni, diventando la colonna sonora di un'emozione».
Il grande pubblico ha avuto modo di apprezzarla per le collaborazioni con Roberto Bolle e Il Volo. Cosa l'ha spinta a “duettare” con loro?
«Ammiro Bolle e i ragazzi de “Il Volo” per la tenacia e la versatilità interpretativa nonostante la giovane età. Mi piaceva inoltre l'idea di inserire in due contenitori importanti della tv la diversità artistica, che ha suscitato un altissimo gradimento da parte del pubblico».
Lei è un musicista polistrumentista, perché ha privilegiato il violino?
«Ho due fratelli musicisti più grandi di me: quando li sentivo suonare prendevo il mattarello di mamma e fingevo che fosse un violino. A tre anni ho iniziato a studiarlo e non l'ho più lasciato. Successivamente mi sono accostato alla composizione e pian piano ad altri strumenti, cercando ogni volta di ricondurre le loro peculiarità al mio amato violino».
Quali sono, secondo lei, gli “ingredienti” indispensabili per essere un buon musicista?
«Lo strumento deve essere parte di te, un innesto del tuo corpo. Con la musica non si scherza, è una questione seria. Ho sempre creduto che per arrivare al successo non basta solo il talento, ci vuole molta disciplina, spirito di sacrificio e un'attenzione maniacale nella cura dei dettagli».
Il suo repertorio spazia dalla tradizione classica alla sperimentazione nel blues, soul e pop. Quale genere musicale preferisce o le è più congeniale?
«La musica è una, detesto etichettarla attraverso i suoi generi. Come disse Leonard Bernstein quando scrisse “West Side Story”, non esiste musica leggera o musica classica, esiste musica bella e musica brutta. Sicuramente però ci sono delle scelte stilistiche da affrontare nella composizione, che sono strettamente legate all'impianto formativo che si è ricevuto».
Nel 2018 è stato insignito a Montecitorio del premio come “migliore Eccellenza italiana nel mondo”. Cosa rappresenta per lei questo riconoscimento?
«Una dedica a me stesso, prima di tutto. Ho scelto di fare il musicista da piccolissimo, affrontando tantissimi sacrifici non solo economici; per la musica ho messo da parte la leggerezza dell'età giovanile. Un premio che condivido con quei giovani che, in nome dei loro sogni, sfidano qualunque difficoltà, senza mai rinunciare all'amor proprio e alla dignità».
Di recente la regione Sicilia ha effettuato una riduzione del 40% sul Fondo Unico per lo Spettacolo, mettendo in crisi l'intero settore concertistico. Lei sta conducendo da tempo una battaglia personale in merito...
«Al di là della crisi economica, che ha innegabilmente investito anche il settore musicale e dello spettacolo, il problema è culturale più che politico. Manca quella consapevolezza personale e la curiosità per tutto ciò che ci circonda. Sicuramente l'avvento dei talent show con i suoi falsi miti ha profondamente destabilizzato le aspettative di giovani e adulti, regalando l'illusione di un futuro legato al “televoto”. Bisogna reintrodurre la cultura nelle famiglie, riportando i giovani a teatro in fascia serale, facendo comprendere loro che la musica classica è una grande opportunità di crescita personale. Senza cultura ci sarà una chiusura delle menti, così come stanno chiudendo i nostri teatri!».
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