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Nei fumetti la letteratura che resiste: “Italo” del crotonese Vincenzo Filosa

"Pochi hanno l’abitudine di infilare i fumetti negli scaffali della libreria di casa, di metterli accanto ai libri. Eppure, più dei libri, tutti ne hanno una scatola piena, riposta con affetto in qualche angolo sicuro della casa. Zagor, Tex, Blek Macigno, l’Eternauta e Dago dentro i Lanciostory, l’Intrepido, il Monello. Storie meravigliose che imprigionano il bambino dentro l’uomo e lo accompagnano lungo l’esistenza con le immagini in bianco e nero, i colori patinati. Rispondono ai misteri della vita più le nuvolette sopra i personaggi dei fumetti che tomi densi e seriosi di filosofia. Sono il condensato della letteratura e ne vengono tenuti all’ombra. Ed è nei fumetti, oggi, la letteratura che resiste, quella che lotta, non molla la superficialità in cui si cadenza la vita attuale. Basta tenere in mano un libro a fumetti per capirne la cura in ogni particolare, la passione che si mischia all’inchiostro e inchioda i pensieri fra parole e immagini. I dubbi di sant’Agostino li senti in bocca al capriolo nell’“Atto di Dio” di Giacomo Nanni che si interroga sull’immanenza delle catastrofi. E Pichard è omerico quanto Omero nel suo “Ulysses”. I Sensei, i maestri del disegno, non sono solo giapponesi, Vincenzo Filosa è italiano, crotonese, figlio della diaspora calabrese che lo ha portato a Milano, ne sentiremo parlare molto in futuro e sarà di certo un motivo d’orgoglio per la Calabria, con “Italo. Educazione di un reazionario”, il suo libro a fumetti uscito a dicembre per Rizzoli Lizard che rappresenta un miracolo delizioso.

“Italo” è la spiegazione dell’Italia contemporanea avvinta nei suoi vizi, nelle fobie, presa a nascondere il suo razzismo, la sua incultura, tesa a mostrarsi buona, di una bontà che davvero non esiste. E via creare mostri, a costruire l’alterità del male: che fascisti, mafiosi, drogati, evasori, razzisti, siano sempre gli altri. La paura di fermarsi di salire dietro il banco di un tribunale e mettere alla sbarra se stessi. È questo che zavorra l’Italia, l’ipocrisia, l’immaturità ipocrita che crea eroi per il solo gusto di sbatterli nella polvere, di sentirsi migliori rispetto al nulla che ormai creiamo in ogni campo. E la letteratura a fumetti è un modo di levarci dalle scatole questo vizio, fare davvero qualcosa di buono, il meglio che possiamo, mettendoci dentro la passione non la noia.

Quasi ogni casa editrice ha creato un marchio dedicato, a mo’ di riserva indiana. Il romanzo a fumetti sta producendo il meglio della letteratura in questo momento, i lettori che hanno abbandonato la pochezza dei finti testi letterari che affondano le librerie, trovano rifugio nei fumetti. Perché nei fumetti trovano rifugio tanti autori che davvero hanno cose da dire. Ci trovano rifugio quelli che senza passione non scrivono e non disegnano. In “Italo”, Filosa e i suoi complici abbondano di una cura spasmodica, dall’orologio che segna le 4 di notte in copertina, al velluto che lo avvolge, al suo profumo differente da un altro, al coraggio che solo un kamikaze o un samurai ha di schiantarsi al suolo dell’esistenza.

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