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Gregorio Corigliano, quando la nostalgia ricrea un mondo che non esiste più

Gregorio Corigliano

Saudade alla calabrese, magari condita con il “nero di seppia” per renderla più Igt, da indicazione geografica tipica. Sì, perché il termine nostalgia non basta, anche se la sua etimologia (nostos, “ritorno”, e algos, “dolore”), che unisce tristezza e rimpianto, dà già il senso di una ferita che non può guarire.

La parola brasiliana, per quanto intraducibile, aggiunge l'idea della solitudine, come se quel sentimento non possa mai essere interamente percepito dagli altri. Si direbbe che Gregorio Corigliano, giornalista, già caporedattore nella sede Rai di Cosenza, e autore di vari libri, abbia voluto scrivere “Nero di seppia. Dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare” (Luigi Pellegrini editore, con una bella nota introduttiva di Tommaso Labate) proprio per esorcizzare quel senso di solitudine che si prova quando si rivisita il passato, nel suo caso strettamente legato a San Ferdinando, il paese natale sulla costa tirrenica calabrese, nei pressi di Rosarno (di cui è stato frazione) e Gioia Tauro.

Poco importa se nei periodici e costanti ritorni nella casa che è stata dei genitori si ritrovino facce e amicizie note: rimane il vuoto di una società solidale e amichevole, povera e dignitosa, sincera e produttiva, che adesso non c'è più.

Sul sentimento della nostalgia Schopenhauer non faceva sconti: «Talvolta crediamo di aver nostalgia di un luogo lontano, mentre a rigore abbiamo soltanto nostalgia del tempo vissuto in quel luogo quando eravamo più giovani e freschi. Così il tempo ci inganna sotto la maschera dello spazio. Se facciamo il viaggio e andiamo là, ci accorgiamo dell'inganno».

Corigliano è ben consapevole di questo rischio e il suo viaggio all'indietro nel tempo trova sostanza anche nei fatti che, partendo da ieri, caratterizzano l'oggi, a cominciare dal sogno (o incubo) della costruzione (mai avvenuta) del quinto centro siderurgico, che provocò l'inutile espropriazione e rovina di terreni dedicati alla coltivazione di clementine di ottima qualità, e continuando con l'ancora incerta identità del porto di Goia Tauro e il cammino doloroso dei «fratelli di pelle nera», i “dannati della terra” che vivono - se così si può dire - attorno a Rosarno.

Così le storie familiari di uno per tutti; del padre maestro elementare, che arrotondava il suo piccolo stipendio vendendo olio per trattori e amava la pesca delle seppie; di amici e parenti ormai sbiaditi nei ricordi (nonostante i quarantennali diari dell'autore, che consentono di fissare date e personaggi), si intersecano con l'attività di giornalista, dalle prime corrispondenze per “Gazzetta del Sud” allo scoop dell'unica intervista fatta a Cesare Casella appena rilasciato (era il 1990), dopo uno dei più lunghi sequestri (743 giorni) mai avvenuti.

Tanti i nomi di giornalisti che evocano anche in noi nostalgie (per esempio, quello di Gigi Malafarina, storico cronista di nera di questo giornale), ma in tutto il libro rimane centrale San Ferdinando con le sue coltivazioni e soprattutto con il suo mare, di cui Corigliano si sente parte concreta e indivisibile, un esempio di «quanti il mare lo avevano (e lo hanno) scolpito in testa». Oggi come ieri.

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