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Coronavirus e disinformazione, Bencivelli: "Noi, macchine emotive con la paura del contagio"

La corsa all'acquisto dei generi di prima necessità, le strade vuote, i casi di razzismo e la fobia che serpeggia, esplodendo nelle nostre case, incendiate dai talk-show allarmisti infestati da tuttologi che scatenano il panico. Il Covid-19 sta mettendo a dura prova la nostra economia e il nostro buon senso, e dunque soprattutto adesso è necessario scegliere esperti in grado di guidarci nella buriana, come un faro dentro la tempesta.

Esperti come Silvia Bencivelli, giornalista scientifica, co-conduttrice di “Nautilus”, programma quotidiano di scienza su Rai Scuola e di Radio3 Scienza su Radio Rai, autrice del saggio “Sospettosi. Noi e i nostri dubbi sulla scienza” (Einaudi) dedicato alla disinformazione e alle fobie sui temi legati alla salute.

Lei scrive che noi umani siamo “macchine emotive”. Parte tutto da qui?
«Siamo macchine emotive a cui, talvolta, capita di pensare. Sì, soprattutto per i temi riguardanti la nostra salute ci facciamo guidare dell'emotività. Abbiamo relativamente poca paura di circolare in motorino senza casco ma studi scientifici sulla percezione del rischio attestano che tutto ciò che riguarda pericoli invisibili, proprio come germi e batteri, crea un vero panico».

A proposito, quanto costa il panico?
«Il tonfo della Borsa ha bruciato un capitale enorme che ricade sulle nostre tasche. Parimenti, teniamo conto della corsa all'acquisto al dettaglio di mascherine e igienizzanti così come gli ingenti costi dei dispositivi di protezione installati negli aeroporti. La ricaduta indiretta è anche la carenza di letti nei reparti di terapia intensiva, in attesa che si palesi questo 4% stimato di pazienti con complicazioni gravi da covid-19».

Nella corsa selvaggia all'acquisto, c'è anche chi si affida a ricette fai da te…
«Surreale perché spesso hanno dosaggi errati e si rischia di produrre qualcosa di corrosivo. È grottesco il fatto che gli italiani, palesando una certa ignoranza nella profilassi, solo grazie a questa emergenza hanno scoperto come si dovrebbe starnutire ovvero nell'incavo del gomito. Del resto se ci sono infografiche dedicate persino alla procedura per lavarsi le mani…».

Nel frattempo, sembra che in Germania abbiano esteso tout court i dati sul picco dell'influenza classica, assorbendo qualsiasi altra forma di contagio…
«Una contro-strategia interessante che andrebbe analizzata. D'altra parte era già noto che l'influenza di quest'anno sarebbe stata molto più importante e sappiamo bene che le fasce a rischio in Italia, gli anziani e chi soffre di patologie respiratorie e non solo, sono vaccinate appena al 50%. In ogni caso, quando per buttare acqua sul fuoco si afferma che il Coronavirus è assimilabile ad una influenza, bisogna fare molta attenzione perché nelle persone fragili non si tratta di una sindrome da ignorare. Gli allarmismi sono rischiosi tanto quanto un'improvvisa comunicazione rassicurante sui medesimi argomenti».

C'è un legame fra quel 12% che paga l'informazione online e la quantità di bufale in giro?
«È un tema importante. La macchina dei click che genera profitti pubblicitari punta tutto sull'emotività. C'è una scarsa propensione degli italiani a pagare per un giornalismo sano e quando si è obbligati a strillare per ottenere l'attenzione, si finisce per creare un meccanismo pericoloso. Sembrava proprio che nessuno, dal direttore del giornale al politico di turno, volesse farsi trovare impreparato».

Il federalismo sanitario ha mostrato le sue criticità?
«Il federalismo è in vigore dagli anni 90, semmai si tratta di una mancanza di coordinamento centrale. Il virus non riconosce i confini regionali e quando si istituiscono una decine di numeri da chiamare in base al territorio per gestire l'emergenza, si finisce per fare una gran confusione».

Lei cosa consiglia di fare oggi?
«Un'informata prudenza, niente di più. Per l'emergenza stiamo rinunciando a ciò che sembra superfluo come le attività culturali ma così facendo finiamo per colpire l'economia di un settore già in crisi e il nostro morale».

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