Prenderei in prestito il titolo del libro di Perec “Tentativo di esaurire un luogo parigino” per commentare la narrativa di Emmanuel Carrère: il suo potrebbe essere infatti il “tentativo di esaurire un ritratto della borghesia”. L'intero universo borghese in tutte le sue sfaccettature ed epoche viene sottoposto al laborioso esame dell'ideale microscopio elettronico di alta precisione che è la scrittura di Carrère.
L'essere scrittore rappresenta per Carrère impegno e missione. Il suo lavoro sembra quello di un orologiaio alle prese con lo smontaggio e il rimontaggio di un complesso meccanismo, un artigiano abile nel ricostruire e nel far tornare in vita ingranaggi arrugginiti; ma il suo perfido perfezionismo ricorda anche quello di un terrorista che prepara un ordigno da far esplodere per compiere una strage, un attentato che faccia molte vittime, anzi in cui non si salvi nessuno. Emblematico è il caso del romanzo da cui, nel 2000, è stato tratto un agghiacciante film con Daniel Auteil “L'avversario”. Il mondo borghese, quello dei “conti fatti”, ne esce con le ossa fatte a pezzi da Carrère, impegnato com'è a raccontare la storia di un uomo che nel 1993 ha ucciso moglie, figli e genitori. Il movente? La menzogna.
«Mentiva da diciotto anni, ma la sua menzogna non copriva nulla. Quando stava per essere scoperto, ha preferito sopprimere tutte le persone di cui non avrebbe mai potuto reggere lo sguardo». Tutto sommato, Carrère ha cercato di capire «che cosa, in un'esperienza umana tanto estrema, mi ha toccato così da vicino. E tocca, credo, ciascuno di noi». Altrettanto esemplare è il romanzo “I baffi”, appena pubblicato da Adelphi, nella traduzione di Maurizia Balmelli (pp. 149, euro 17). Si tratta di un romanzo che Carrère ha scritto nel 1986 e da cui, anche in questo caso, lo stesso scrittore francese ha tratto nel 2005 il convincente film omonimo - a cui in Italia è stato dato il titolo “L'amore sospetto” - interpretato da Vincent Lindon.
Carrère scava col bisturi implacabile della sua scrittura nella banalità e nella quotidianità. E dilata un piccolo evento, apparentemente insignificante, fino a farlo diventare lo specchio deformante del vuoto su cui poggiano le nostre vite. Il protagonista del romanzo decide, una mattina, quasi per burla, così, senza nessun preciso motivo, di tagliarsi i baffi che porta da sempre. Un gesto davvero privo di qualsiasi peso specifico, ma destinato a sconvolgere le sue certezze. La mancata reazione di chi gli vive accanto ogni giorno, da Agnès, sua moglie, ai suoi amici e ai suoi colleghi, gli fa perdere la testa. Nessuno se n'è accorto, che lui s'è tagliato i baffi. Nessuno sembra farci caso. Nessuno ha mai notato che lui portava i baffi. E lui, il protagonista, non se ne può dare pace, proprio non riesce ad accettarlo.
L'intreccio che ne nasce acquista così un andamento paradossale, perfino iperbolico, che porterà il protagonista a fare scelte estreme. Il fatto è che il protagonista viene all'improvviso assalito dal dubbio di non avere mai avuto un'identità. Di non aver mai avuto nemmeno un nome. Cerca in tutti i modi di non essere visto dall'umanità, salvo poi lamentarsi e perdere la ragione perché nessuno lo degna di uno sguardo. Altro che gli altri - sembra dire - l'inferno sono io. E fugge via più lontano che può. Ma non alla ricerca di se stesso, non alla ricerca di una nuova insulsa maschera, no. Semplicemente non vuole più essere chi non è mai stato.
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