A 100 anni dalla nascita, la Rai rende omaggio ad uno dei più grandi e amati interpreti del cinema italiano. Con il film tv “Permette? Alberto Sordi”, diretto da Luca Manfredi e prodotto da Rai Fiction e Ocean Productions, in onda domani (ore 21.25) su Rai1, dopo l’anteprima cinematografica dal 24 al 26 febbraio scorso. Una sincera biografia per immagini, che narra l’attore romano (Edoardo Pesce) agli albori della sua carriera, dagli esordi nel varietà e nel doppiaggio (come voce di Oliver Hardy), alla consacrazione con “I Vitelloni” e “Un americano a Roma”. Riflettori puntati anche sul privato del grande artista, con il racconto del suo amore per Andreina Pagnani (Pia Lanciotti) e l’amicizia con Federico Fellini (Alberto Paradossi) e Aldo Fabrizi (Pasquale “Lillo” Petrolo). Nel cast anche Giorgio Colangeli e Paola Tiziana Cruciani, nei panni dei genitori di Sordi, e l’attore catanese Francesco Foti (Vittorio De Sica). Ne abbiamo parlato con Luca Manfredi, anche sceneggiatore con Dido Castelli ed Edoardo Pesce.
Dopo “In Arte Nino”, dedicato a tuo padre, un altro film su uno degli interpreti più illustri del cinema italiano. Come è nata la scelta di omaggiarlo soffermandosi sui primi vent’anni della sua carriera?
«Ci è sembrato più interessante per il grande pubblico televisivo raccontare un Sordi giovane e inedito, sconosciuto ai più; soprattutto un Sordi privato, nei primi anni della sua avventura artistica. Questo è un film che in qualche modo mette in risalto la sua grande determinazione e forza di volontà, perché Alberto aveva deciso fin da bambino che avrebbe fatto l’attore a tutti i costi; e alla fine ci è riuscito, nonostante le difficoltà incontrate sul suo percorso. È quindi il racconto di un uomo che ha fatto della vita un esercizio tenace di volontà. Ma è anche un film che mette in luce le fragilità e debolezze, come il complesso del faccione, non rispondente ai canoni estetici del cinema dell’epoca, così come i rapporti con la famiglia, la storia d’amore importante con Andreina Pagnani durata nove anni, che fece scandalo per i 14 anni di differenza. Raccontiamo inoltre gli incontri importanti della sua vita: l’amicizia col mito Aldo Fabrizi, il rapporto con il giovane Fellini, che faceva caricature e sperava come lui di fare cinema, e lo “stalkeraggio” verso il povero De Sica, che quando lo vedeva andava a nascondersi per essere lasciato in pace».
Luca Manfredi. Un figlio d’arte che immaginiamo cresciuto a “pane e cinema”. C’è una diversa responsabilità nel lavorare su un personaggio che si è conosciuto personalmente?
«La responsabilità è sempre grande quando decidi di raccontare un monumento del cinema italiano. Io l’ho fatto con particolare affetto nei confronti di Alberto, che aveva fatto una decina di film con mio padre e frequentava casa nostra. Ho avuto infatti il privilegio di conoscere bene lui, come altri grandi artisti, tra cui lo stesso De Sica, che ogni volta mi chiedeva se fossero stati tolti i cuscini viola dallo studio di papà, altrimenti non sarebbe entrato in casa. Di Sordi ricordo in particolare quella volta che venne a casa nostra per preparare con papà il film di Scola “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”. Mentre eravamo a tavola lui disse “Ammazza, Nì, che bella famiglia che c’hai !” e mio padre scherzando rispose “Albè, ma tu na famiglia quando te la fai? Quando te sposi?” . La risposta fu quella di rito “E che so’ matto? Che me metto un’estranea dentro casa?”. Erano molto legati e in quel film mio padre avrebbe dovuto interpretare l’editore e Alberto il cognato stregone. Papà convinse Scola a scambiare i due ruoli, rinunciando a fare il protagonista perché riteneva che Sordi avesse le caratteristiche più giuste per il personaggio».
Alberto Sordi è stato uno dei padri della commedia all’italiana. Qual era la sua specificità?
«Lui è stato il grande mattatore di questo genere, e meglio di tutti ha saputo rappresentare l’italiano medio coi suoi pregi e difetti, interpretando le due facce della medaglia: vittima e persecutore. Ci ha regalato, con i suoi oltre 200 film, personaggi indimenticabili, affidandosi al suo grande istinto e capacità di osservare il mondo attorno a sé. Mio padre preparava i suoi personaggi con un grande studio, Alberto era più istintivo».
Pesce nel ruolo dell’Albertone nazionale ha messo in campo un grande talento da trasformista. Questo il motivo principale della sua scelta?
«Edoardo ha una grande capacità di trasformarsi, ma senza cercare la somiglianza a tutti costi. Mi sono affidato al suo talento interpretativo e lui ha dato una sua versione di Sordi, in verità molto somigliante. Noi ci siamo limitati a tagliargli i capelli e mettergli una protesi sul naso per migliorare il profilo. Quando ci siamo confrontati per il ruolo, mi aspettavo che avrebbe rivisto i film di Alberto; invece lui mi disse che li conosceva a memoria e non li avrebbe visionati ancora per evitare una sterile imitazione. Questo l’ho molto apprezzato».
Nel corso della tua carriera hai diretto diverse commedie sia per il cinema che per la tv, dai lavori con tuo padre Nino, tra cui “Un commissario a Roma”, alla collaborazione con Gigi Proietti in “Una pallottola nel cuore” e “L’ultimo Papa Re”, remake de “In nome del Papa Re” di Luigi Magni, con tuo padre protagonista. Cosa c’è della gloriosa commedia all’italiana in Luca Manfredi?
«Ho sempre respirato quell’aria e mi intrufolavo per assistere a queste riunioni divertentissime tra mio padre, Age e Scarpelli o Benvenuti e De Bernardi, gli autori più importanti della commedia all’italiana dell’epoca, che per tre quarti del tempo scherzavano e per mezz’ora lavoravano. Non potevo quindi riproporre in qualche modo una commedia all’italiana vista da me. Sono pochi quelli che hanno raccolto il testimone di quel cinema che diverte e commuove. Il più bravo di tutti è sicuramente Paolo Virzì, cresciuto nella bottega degli stessi Age e Scarpelli».
Cosa ti ha insegnato di fondamentale per il lavoro di regista tuo padre Nino? In cosa gli assomigli?
«Un grande insegnamento che mi ha dato è la serietà nell’approcciare questo lavoro. Papà è stato una sorta di artigiano e lo ha affrontato con grande serietà. Anche se doveva fare un’ospitata in tv per raccontare una barzelletta ci faceva sedere in salotto e la raccontava a noi per testare le possibili reazioni. Non ha mai affidato nulla al caso; e lo stesso ho fatto io, imparando a preparare tutto prima. Un film va studiato bene, senza improvvisazioni, a meno che non ci si trovi in una situazione d’emergenza in cui bisogna necessariamente inventare qualcosa».
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