Ne uccide più la penna della spada. O quantomeno, può ferire a morte l’orgoglio del destinatario. Questo è ciò che deve aver pensato Ian McEwan scrivendo “Lo scarafaggio”, un pungente pamphlet uscito ieri per Einaudi (traduzione di Susanna Basso) in cui lo scrittore e sceneggiatore britannico – ricordiamo “Macchine come me” (2019), “Chesil Beach” (2007) ed “Espiazione” (2001) – , già vincitore del Premio Bottari Lattes Grinzane, si schiera contro la Brexit e il populismo imperante sia nella madrepatria che dall’altra parte dell’oceano. Il titolo è un evidente rimando al celebre romanzo di Franz Kafka, un ribaltamento di fronti da cui l’autore parte per poi prendere il largo. E così, lì dove c’era il tormento di Gregor Samsa – l’uomo che si tramuta in scarafaggio, precipitando il lettore, con una prosa di grande forza e bellezza, in un dedalo di problemi esistenziali – qui troviamo un insetto che nelle primissime pagine zampetta, sguscia sotto il portone del parlamento inglese, supera la sorveglianza e “prende possesso” d’un corpo umano, risvegliandosi al celebre n.10 di Downing Street nei panni di Jim Sams, primo ministro inglese, con tanto di sguardo allucinato e quei modi farseschi che hanno reso celebre Boris Johnson, l’attuale premier inglese. E così passiamo da Kafka ad un vero e proprio omaggio alla “modesta proposta” di Jonathan Swift e con “Lo scarafaggio” McEwan firma un testo di satira politica, lucida quanto pungente, una presa di posizione senza precedenti contro la Brexit e un’accusa ai politicanti. Accade che lo scarafaggio, appena preso possesso del corpo umano, si adoperi per attuare una surreale riforma economica, invertendo il flusso finanziario, con l’assenso del suo gabinetto, formato da altri scarafaggi tramutatisi in uomini di governo. L’Inversionismo – così si chiama questa corrente politica che sciocca e costerna gli altri paesi europei – donerà nuovo lustro alla corona britannica o sarà un buco nell’acqua? In pratica, «alla conclusione di ogni settimana di lavoro, una dipendente paga alla ditta le ore di lavoro svolte. Quando va a fare la spesa, tuttavia, trova ampia ricompensa, per ogni articolo che si porta a casa. La legge le impedisce di accumulare contante e il denaro che deposita in banca produce alti tassi di interesse negativo». E così, un padrone di casa, anziché incassare l’affitto, dovrà pagare i suoi affittuari, ma questi dovranno versare il denaro incassato al datore di lavoro e via dicendo, in un giro di affari in cui tutte le prospettive vengono ribaltate e «tutti hanno qualcosa di guadagnarci». Non a caso, il panico si diffonde nella nazione e in Borsa... McEwan ha buon gioco nel mettere in luce l’ego smisurato del premier e l’incapacità del parlamento di arginare la follia populista mentre un incidente in mare aperto, abilmente manipolato a colpi di comunicati stampa e social network, crea un incidente diplomatico con la Francia, escamotage perfetto per ribadire che è giunta l’ora di «rompere gli equilibri e tornare grandi», in barba agli eurocrati, in nome della Corona. Vi suona familiare? McEwan, sciolto dall’obbligo di imbastire trame e dialoghi verosimili, dimostra d’essere a proprio agio nei toni della satira nel perfetto stile di Swift e Woodhouse – del resto, la mancanza di scrittori capaci di fare vera satira, in barba al politically correct, si sente – e quando chiama in causa il presidente americano, descritto come una sorta di cavernicolo, devoto di Twitter e osannato dalla sua claque, si ride di gusto, finché rammentiamo a noi stessi che gli scarafaggi al potere potrebbero arrivare da un momento all’altro...