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La Cina è vicina. A chi?

“La Cina è vicina” è il titolo di un fortunato film (1967) di Marco Bellocchio con cui il famoso regista, col linguaggio cinematografico della satira provocatoria, svolgeva un’aspra requisitoria su costume e società italiana degli anni del boom economico.

Tuttavia quell’espressione, al di là della trama del film, rimase impressa nella memoria popolare come un “avvertimento” sull’avvicinamento all’Occidente del Continente giallo.

Mezzo secolo dopo la Cina in marcia spedita “sul mondo globale”, nonostante il demone recente del coronavirus, è una realtà percepibile ovunque, con la sua avanzata inarrestabile.

Impensierisce le potenze globali, come gli Stati Uniti di Trump, abituate a non avere concorrenze; preoccupa l’Europa, e mette in guardia l’ex Unione Sovietica, trasmigrata - come potenza - nella Russia di “zar” Putin.

La potenza del “celeste impero”, di Mao e del nuovo “condottiero” XI Jinping sta tingendo di giallo il mondo, con sorprendenti risultati e con strategie economiche seducenti e lungimiranti. Fa investimenti massicci nel Continente africano guadagnando fiducia e ammirazione, mentre l’Occidente (stanco declinante e appagato) stenta a capire che è lì che abita il futuro dell’umanità. Colpita per prima dall’epidemia di Coronavirus, la Cina ne è anche uscita prima di tutti gli altri.

È azzoppata, ma come tutti. La cronologia pandemica, paradossalmente, le ha regalato fiducia in se stessa, ravvivando il sogno di una Cina moderna, tecnologicamente avanzata, che torna a manifestarsi sulla scena mondiale.

C’è, dunque, una Cina prima e dopo Wuhan, ma senza mutamenti o sconvolgimenti nelle strategie che puntano, con la forza di un “modello diverso”, alla conquista definitiva del primo posto nella classifica mondiale del commercio. La nuova “via della seta”, piani d’investimento e infrastrutture in America, Asia, Europa e Africa, acquisto di debiti pubblici esteri, sono i punti trainanti della “macchina economia da guerra” di XI Jinping, “presidente” che punta, ambiziosamente, ad «unire in un’unica famiglia armoniosa l’intera comunità umana»; sono le sue parole, inserite nella nuova Costituzione cinese.

La “nuova guida”, XI Jinping, che Gennaro Sangiuliano racconta nel libro Il nuovo Mao, (Mondadori) mettendone in rilievo il ruolo del “monarca assoluto”, capace di fondere la proposta del maoismo come “religione politica” e del confucianesimo come dogma culturale, è il regista ma anche l’autore del copione del “modello Cina”. Ripercorrendo le tappe più significative della carriera e dell’ascesa inarrestabile all’Olimpo della nomenklatura cinese, Sangiuliano compie parallelamente un’ampia ricognizione sulla Cina nel Novecento, fino all’approdo all’altare del “capitalismo di Stato”, un sistema pronto a rinunciare a valori quali democrazia e libertà, pur di farsi spazio tra le potenze globali.

Il modello Cina di Daniel A. Bell (Luiss University Press, traduzione di Gabriella Tonoli), mentre mostra incongruenze e limiti tipici dei regimi autoritari, esalta la scelta di privilegiare la “meritocrazia” che potrebbe rappresentare un’importante risorsa, se innestata nei modelli della democrazia occidentale, impaludata in acque non trasparenti e che stenta a favorire il “merito”.

Bell lo dice chiaramente: «La meritocrazia cinese, con la sua straordinaria efficienza, e i suoi sorprendenti risultati, sembra mettere a dura prova le convinzioni occidentali e i modelli di crescita economica, mettendoci di fronte alla realtà di un modello che funziona molto meglio di quelli ai quali siamo abituati». Provocatorio e discusso, il libro, è comunque un contributo fondamentale per tutti coloro che si interrogano sulle sorti della democrazia e sono abituati a dividere il mondo politico tra “buoni” e “cattivi”; ma predicano bene (forse neanche questo) e razzolano male. Resta evidente la difficoltà che il modello cinese possa inserirsi nelle categorie politiche occidentali e collaudati – benché non funzionanti – sistemi democratici.

Il fascino del modello cinese non fuga le diffidenze su un mondo con pochi diritti e senza libertà che poco conosciamo, nonostante la sua storia sia lunga e dica che in alcune epoche la Cina fosse la società più sviluppata del pianeta. Giada Messetti, autrice del saggio Nella testa del Dragone. Identità e ambizioni della nuova Cina (Mondadori), tenta di decifrare la realtà cinese: «Ho imparato che quando si ha a che fare con la Cina c’è solo una cosa certissima e niente è mai semplice e semplificabile, come sembra; perché esistono dieci, cento, mille Cine. Esplorarle, è come fare un viaggio su una macchina del tempo passando da villaggi rimasti all'epoca preindustriale a smart city avveniristiche dove fermo al semaforo in motorino può capitare che un drone ti intimi di indossare il casco».

La Cina, nel nuovo scenario mondiale, è dunque la grande sfida del nostro tempo “tecnologico”. Lo sostiene Simone Pieranni, autore di Red mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza), in cui, partendo dall’osservazione attenta della nuova Cina del “principe rosso” Xi Jinping, Pieranni prefigura ciò che accadrà nelle nostre case, e nelle città in cui abitiamo, per via dei pervasivi usi che faremo degli smartphone.

"WeChat", è la parola di cui Pieranni fa più uso nel libro. "WeChat", l’app che è riuscita a concentrare tutte le attività economiche e sociali dei cinesi (dalla messaggistica ai pagamenti). Sul paese che sta ridisegnando il futuro con intelligenza artificiale, veicoli a guida autonoma, tecnologie green, smart city, riconoscimento facciale e sul “domani che è già all’opera”, Marco Lupis, con I cannibali di Mao (Rubbettino) racconta - con un reportage lungo 25 anni, tanto è il tempo da lui trascorso come reporter nell’area - l’origine del potere globale cinese.

E lo fa con un viaggio non solo nel paesaggio delle trasformazioni politiche economiche e tecnologiche, ma anche nell’ umanità del popolo cinese, negli sguardi, nei fatti, nei temi e nella storia degli ultimi decenni di una Cina che da produttore di mercanzia a basso costo oggi domina il mercato high-tech mondiale, imponendosi come attore globale e assumendo il controllo economico e finanziario di intere nazioni.

La Cina che, sotto qualsiasi indicatore la si guardi – crescita del Pil, flussi navali, utilizzo di cemento, salari che hanno superato quelli di molti paesi occidentali – appare in colossale ascesa come racconta Ignazio Musu in Eredi di Mao (Donzelli). L’unica che sembra aver compiutamente realizzato la rivoluzione burocratica che appare come unico inesorabile destino della civiltà industriale.

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