Ci sono idilli che durano tutta la vita, altri che si infrangono presto, cozzando contro il muro delle delusioni. Così accade al protagonista del nuovo romanzo di Giuseppe Lupo, “Breve storia del mio silenzio” (Marsilio), che a soli quattro anni scopre l'arrivo di una sorellina - «un groviglio di stoffa bianca» sul letto dei genitori - e non potendo tollerare l'affronto si rinchiude in un ostinato mutismo, un gesto di protesta che desta stupore e preoccupazione.
Giuseppe Lupo - narratore dalla prosa raffinata e dall'humour gentile - scrive un classico romanzo di formazione, una storia sull'Appennino lucano all'inizio degli anni 60 dagli spunti esplicitamente autobiografici. Eccoci in una famiglia intrisa di impegno sociale cui fanno da controcanto il nonno, che elargisce sapori genuini con la sua bottega di alimentari, e la nonna che tenta di curare il disagio del nipote con un olio miracoloso che «profuma di religione appiccicosa».
«La prosa è di un'accurata e morbida lentezza. I tempi della narrazione avanzano e retrocedono, per procedere ulteriormente. Così il racconto si stratifica, in quelle che l'autore più che stagioni chiama "ere": essendo la vita simile a un palinsesto geologico», afferma Salvatore Silvano Nigro, l'Amico della Domenica che ha proposto questo titolo, giunto alla dozzina del Premio Strega. «Il filo di ogni evento viene quindi ripreso in un altro tempo che, tornando indietro, riprende il bandolo e lo intrama. Lupo ha l'orecchio infallibile di un regista per l'opportunità delle entrate e delle uscite dei suoi personaggi, per l'apertura e la chiusura di ogni singolo episodio».
Il padre osserva la crescita di Milano come un miraggio lontano, tuffandosi sulla pedagogia e nella lettura per rompere la claustrofobia culturale; così facendo, quando il protagonista, ormai adulto, approda all'Università Cattolica di Milano - riprendendo la scia del precedente romanzo, “Gli anni del nostro incanto” - Lupo si affida ad una serie di racconti lievi ed episodi intrisi di ironia, per rendere la sua evoluzione personale e affiancargli il racconto del boom economico italiano in un delicato bianco e nero che non rimpiange - né rinnega - l'acqua trascorsa sotto i ponti e la giovinezza lasciata alle spalle. Ad eccezione di quelle ultime pagine in cui Giuseppe Lupo ricordando l'editore Cesare De Michelis - scomparso e rimpianto dalla scena culturale - riprende la via dei ricordi e si interroga: «Scriviamo davvero per l'immortalità?». Al lettore l'ardua sentenza.
L'articolo nell'edizione di oggi della Gazzetta del Sud
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