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Arbore: la mia filosofia? Il bicchiere mezzo pieno!

Oggi Renzo Arbore torna in tv, su Raidue. «È il mio debutto da vecchio», ironizza lui. La prima puntata di “Striminzitic Show” andrà in onda in prima serata, ne seguiranno altre venti in seconda serata («la mia fascia oraria preferita»). Con Arbore ci sarà Gegè Telesforo, il musicista vecchio compagno d’avventure televisive, nel ruolo del “maestro di cerimonie”. Il programma è firmato, tra gli altri, da Ugo Porcelli, storica firma dei maggiori successi dello showman. Il collante sarà l’incredibile archivio di immagini posseduto da Arbore, ma non solo. Ne abbiamo parlato con lui, sempre piacevolmente loquace nonostante gli 83 anni che festeggerà il prossimo 24 giugno.

Filmati di tv d’autore e momenti curiosi della sua carriera. Questo sguardo al passato come si accorda con le sue caratteristiche di innovatore?

«Certo che si accorda. Vedrete pochissimo di “Quelli della notte” o di “Indietro tutta”. Piuttosto io porto la rete al pubblico generalista. Non ci saranno commemorazioni, ho trovato inediti o spezzoni poco conosciuti. Come dice il sottotitolo, le selezioni (e i collegamenti) riguardano anche i miei friends. E poi c’è una scommessa: fare un programma Rai tutto da casa mia, dove vengono un paio di tecnici e il regista, una troupe super ridotta. Con me ci sarà Telesforo, tutti gli altri parteciperanno via Zoom, come si usa oggi. E presenteremo anche talenti nuovi e nuovissimi».

Per esempio?

«A Gazzetta del Sud segnalo la cantante siciliana (di Zafferana Etnea) Valentina Niciforo, che nella prima puntata canterà “E vui durmiti ancora”».

Da “maestro programmatore di musica leggera” (titolo con cui è entrato in Rai nel 1964) a “Striminzitic Show”: come e quanto è cambiato Renzo Arbore?

«Non molto. Nei primi anni ho superato la timidezza, il complesso di venire dalla provincia. In poco tempo ho capito che la provincia era ed è un valore aggiunto perché si imparano a conoscere tutte le umanità possibili in pochi metri quadri: dallo scappato di casa al compagno triste e a ogni tipo esistente di ragazza. Adesso posso dire di aver girato davvero tutto il mondo. Dal 1991 con l’Orchestra italiana abbiamo fatto 1500 concerti ovunque, l’ultimo ad Assisi prima del lockdown. Poi abbiamo dovuto cancellare sette appuntamenti, già con il tutto esaurito».

Riprenderete a ottobre?

«Non si può dire ancora. Se non sono assembramenti i concerti…».

La sua vita, quindi, è sempre una jam session (come dal titolo del suo libro autobiografico)?

«Sì, la vita va vissuta così, all’insegna del “carpe diem” e seguendo l’estro del momento. E poi magari riunirsi con gli amici in pizzeria a ricordare tanti episodi e a sfotterci tra di noi. Per me la musica è fondamentale: la canzone che più mi rappresenta è “Io faccio ‘o show”, sigla di chiusura di “Indietro tutta”. L’ho scritta per una ragazza che non capiva perché talvolta mi capitasse di preferire la chitarra a lei».

Parliamo del suo “Renzo Arbore Channel”. Lei è Grand’ufficiale della Repubblica e in un video prende un po’ in giro il presidente Mattarella: il sorriso concilia le due cose?

«Certo, è una scena affettuosissima, realizzata con grande semplicità e tenerezza. Grazie al doppiaggio di Stefano De Santis (che imita anche le voci di Conte, De Luca, Troisi e altri) ho fatto diventare il presidente un testimonial del mio canale online. Una cosa da meridionale a meridionale, io penso che ne sarà contento e divertito. Lui è davvero un grande presidente, in questo ultimo periodo lo ha dimostrato ancora di più. Voglio aggiungere che il mio “channel” è partito con i “50 sorrisi da Napoli”, dedicati a una grande città. E c’è tantissimo altro, provate a vederlo su Internet, è tutto un palinsesto di comicità e ironia».

Lei ha realizzato programmi mitici in un’azienda in cui ci si scontrava con l’inquietante frase dirigenziale “non si può fare”. Come ha superato quest’ostacolo?

«Con Gianni Boncompagni inventammo il “si può”, facendo tutto ciò che per i dirigenti era impossibile. Per esempio, parlare sopra le canzoni, cosa allora impensabile. Ecco, “L’altra domenica”, con quell’aggettivo “altra”, è emblematica della mia carriera. In quel programma, io pronunciai per la prima volta la frase: “da dove chiama?”, perché le telefonate in diretta allora non esistevano. Era il 1976 e naturalmente la persona che avevamo chiamato mi mandò a quel paese. Ma il clima Rai era quello: dire no a ogni innovazione. Io credevo che fosse troppo semplice fare talk show e interviste, bisognava avere il coraggio di fare intrattenimento, in maniera diversa dai mitici varietà di un tempo. Ci sono stati, per fortuna, direttori generali innovatori come Bernabei, Agnes e Cattaneo. Quest’ultimo ebbe il coraggio di portare a Raiuno il gioco dei pacchi, condotto da Bonolis».

Lei ha coniato la definizione “chiacchiere disutili” ma, forse per la sua amicizia con De Crescenzo e Pazzaglia, viene considerato esponente di una filosofia che sa cogliere il meglio della vita. Si riconosce come filosofo?

«La mia “filosofia” è la positività, per me un concetto base, vedo il bicchiere sempre mezzo pieno. Prima di Jovanotti, avevo importato dagli Usa il motto “Think positive”. Con De Crescenzo parlavo spesso dei “corsi e ricorsi” di Giovambattista Vico. Li abbiamo vissuti spesso nella storia, nella politica. Io ho sempre preferito i “corsi”. Per quel che ho potuto, li ho incoraggiati e seguiti con i sorrisi, per esempio dopo i terribili “anni di piombo”. La generazione che è seguita avrà avuto i suoi difetti (i paninari, la Milano da bere), ma siamo usciti da un tunnel molto buio. Adesso, da ottimista, sono convinto che sia venuto il momento del riscatto del Sud, rivalutato dalla necessità di riscoprire le bellezze della nostra Penisola».

Tra le sue migliaia di aneddoti e momenti curiosi di vita e di carriera, vorrei che ce ne ricordasse due: quella volta che andò a cantare “Bandiera rossa” dagli Agnelli e quell’altra del non troppo riuscito incontro, in coppia con Pippo Baudo, con Padre Pio...

«Che serata incredibile quella nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, a Torino! Eravamo tutto il gruppo di “Quelli della notte”, fra cui Maurizio Ferrini che faceva il comunista romagnolo. Così ci venne l’idea di cantare “Bandiera rossa”… Certe facce! Molti, offesi, si alzarono e se ne andarono. Ma l’Avvocato e i suoi familiari si divertirono. Da Padre Pio sono andato più volte, mi aveva predetto un futuro da avvocato e non mi pare che ci abbia azzeccato. Comunque, Baudo era venuto a trovarmi a Foggia e mi chiese di accompagnarlo dal frate. Quando ci vide, lui ci chiese: “Siete venuti per curiosità o per fede?” e Baudo fu sincero ad ammettere la prima ipotesi. Fummo cacciati».

Ah, un’altra cosa gliela devo chiedere: come è stato vivere l’emergenza coronavirus nella categoria a rischio degli anziani?

«Io non sono anziano, sono vecchio. Questo però mi ha consentito di vivere bene quest’esperienza perché per me è stato inevitabile ricordare il tempo di guerra. Il confinamento in casa è stato duro ma sopportabile. Pensavo: c’è la luce, c’è da mangiare, c’è la tv, c’è internet, non è così male. Anche se sento forte il lutto per i tanti che sono morti».

E adesso ha paura?

«Sì, lo confesso, ancora cerco di non uscire. Sa, a Natale ho avuto una brutta broncopolmonite e quindi mi sento a rischio. Ma penso ancora positivo».

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