«Per troppo tempo ci siamo raccontati una favola. Ma l’uomo è anche fragilità e in questo momento di pandemia, con le mascherine e il distanziamento sociale, ce ne stiamo rendendo tutti conto».
Raggiunto al telefono pochi minuti dopo la conclusione della cerimonia ufficiale del Premio Strega, Daniele Mencarelli contiene l’emozione ma può festeggiare ben due volte. Con il suo romanzo, “Tutto chiede salvezza” (Mondadori, pp.204 €19) è entrato a far parte della prima, storica sestina del premio editoriale più importante d’Italia (in una serata condotta dalla giornalista Loredana Lipperini e trasmessa via streaming) e soprattutto ha trionfato nella settima edizione del Premio Strega Giovani.
Mencarelli, scrittore 45enne che viene dal mondo della poesia, racconta un’esperienza autobiografica, quando a vent’anni, nella calda estate dei mondiali americani, venne sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio in seguito a una violenta esplosione di rabbia.
Mencarelli ha ottenuto 64 preferenze su 344 voti espressi da una giuria di ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni provenienti da 58 scuole secondarie superiori distribuite in undici regioni italiane e tre città all'estero (Berlino, Bruxelles, Parigi). Una vittoria proclamata dal presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, collegato da remoto.
Mencarelli, a chi dedica la vittoria?
«La dedico a chiunque si trovi in un Tso in questo momento. Una forma di clausura molto dura, durante la quale il tempo si dilata a dismisura, una prova non semplice da attraversare, necessaria per ritrovare la tranquillità».
Cosa significa questo traguardo?
«Lo dico senza alcuna vergogna, aver vinto il Premio Strega Giovani è ancor più importante che far parte di questa ricca sestina. I miei libri parlano di emozioni e sono idealmente rivolti proprio a loro, ai ragazzi. Il fatto che mi abbiano premiato è come un cerchio che si chiude».
Punta alla vittoria?
«No – ride – , mi godrò questo magnifico viaggio sino alla fine in competizione con una serie di autori che ormai sono considerati maestri».
Uno Strega diverso?
«Anche faticoso, ma emozionante. Con la mascherina addosso non c’è stato nemmeno il gusto di un abbraccio finale per una sana esultanza con Giovanni Francesio (il responsabile della narrativa italiana Mondadori, ndr). Ma tutto ciò renderà questa un’edizione decisamente indimenticabile».
Per chi farebbe il tifo?
«Per Jonathan Bazzi. Il suo libro, “Febbre” è bello, ha dieci anni meno di me, bontà sua, penso sia doveroso tifare per le voci di talento».
Parlare di malattia mentale e arrivare in finale è già una vittoria?
«Credo di sì. Sfatiamo i tabù e affrontiamo il racconto della sofferenza, ne abbiamo tutti bisogno».
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