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“L'enigma della camera 622”, stavolta Joël Dicker l’autore diventa... un personaggio

Era attesissimo – dai librai e dai lettori – e non ha deluso le aspettative. Parliamo de “L'enigma della camera 622”, il nuovo romanzo di Joël Dicker (La Nave di Teseo, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) che dopo appena una settimana svetta in cima a tutte le classifiche, il libro più venduto negli store Mondadori, Feltrinelli e IBS, superando il regista Ferzan Ozpetek (“Come un respiro”, Mondadori) e la regina del thriller scandinavo, Camilla Lackberg (“Ali d’argento”, Marsilio).

L’autore svizzero – reso celebre dal bestseller mondiale “La verità sul caso Harry Quebert” (divenuto una serie tv, con Patrick Dempsey nei panni del protagonista), seguito da “Il libro dei Baltimore” e da “La scomparsa di Stephanie Mailer” – è l’enfant prodige della narrativa gialla, già vincitore del grand Prix du roman de l'Académie Française 2012. Con milioni di copie vendute, Dicker – ricordiamolo, classe ’85 – alle prese con il nuovo romanzo si complica un po’ la vita ma non sbaglia il colpo, firmando un altro page-turner (uno di quei libri difficili da mettere giù) fra colpi scena e inganni, a patto di affidarsi ciecamente al suo flusso narrativo.

Al centro dell’intreccio, sfidando le convenzioni e mostrando un ego non indifferente, l’autore pone... se stesso – eccolo, lo Scrittore – invischiato nella risoluzione di un mistero irrisolto nella suite 622 del lussuoso albergo Palace de Verbier, sulle Alpi svizzere. Proprio lì, quindici anni prima, si concludeva nel sangue la festa aziendale di una importante banca d’affari ginevrina. Un delitto senza colpevole che piomba fra le mani di Dicker, suo malgrado costretto a darsi da fare per risolverlo.

“L’enigma della suite 622” è senza dubbio il romanzo più complesso dell’autore svizzero che grazie ad un massiccio ricorso ai flashback ricostruisce una lotta di potere e un storia d’amore travagliatissima, ponendo al centro della scena, fra inganni e servizi segreti svizzeri, un trio di protagonisti legati da soldi, vendetta e passione: Macaire, l’erede della banca, sua moglie Anastasia e Lev, l’astro nascente degli affari.

Sì, Dicker conferma il proprio dono di saper raccontare le storie, puntando tutto sulla suspense, sino all’inevitabile colpo di scena finale; ma come già avvenuto ne “La verità sul caso Harry Quebert”, il gioco delle multiple ricostruzioni dei fatti e la continua sospensione degli eventi, fra un capitolo all’altro, è un crocevia che metterà alla prova la resistenza dei lettori meno affezionati.

Dicker aggiunge anche una nota sentimentale e durante l’indagine a ritroso si concede multiple divagazioni per celebrare la recente scomparsa del suo primo editore e mentore, Bernard de Fallois, che fanno di questo romanzo anche una riflessione sulle alterne fortune e la solitudine del mestiere dello scrittore che si confronta ogni giorno, pagina dopo pagina, con le attese dei suoi lettori e con i capricci dell’ispirazione. Al punto che può cogliere la tentazione di trasformarsi in un personaggio del proprio romanzo.

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