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"Broken", il nuovo libro di Don Winslow: "Negli Usa si è rotto il contratto sociale"

Tante volte gli intellettuali hanno voltato lo sguardo dall’altra parte dinanzi alla Storia, preferendo un atteggiamento apatico. Ma oggi qualcosa è cambiato. La presidenza Trump – e la possibilità di una sua rielezione nelle elezioni del prossimo novembre – ha indotto diversi scrittori di primo piano a schierarsi apertamente, criticando le mosse dell’inquilino della Casa Bianca, in tema di sanità, sicurezza e ovviamente nella gestione del lockdown. Don Winslow è uno degli scrittori statunitensi più attivi nella bolla di Twitter, tanto da aver scelto provocatoriamente di fermare la scrittura sino a novembre, concentrando tutti i suoi sforzi per sconfessare Trump e condannare quei poliziotti violenti e razzisti che seminano odio in patria.

L’attualità e la finzione sono i temi di questa conversazione per Gazzetta del Sud che ruota attorno al suo nuovo libro, “Broken”, la potente raccolta di sei short stories (edita da HarperCollins Italia, tradotto da Alfredo Colitto e Giuseppe Costigliola) elogiata anche da Stephen King, in cui l’autore della trilogia de Il Cartello (bestseller mondiale che diventerà una serie tv internazionale) omaggia i maestri – Elmore Leonard, Raymond Chandler a Steve McQueen – raccontando il mondo del crimine e quello della legge, fra rapinatori astuti e cacciatori di taglie lungo le highway americane.

Don Winslow racconta la giustizia contro la vendetta con una prosa asciutta e piena di adrenalina, senza trucchi da quattro soldi, fotografando l’America odierna e quel sogno – ormai – in frantumi. E ovviamente, senza lesinare durissime critiche a Donald Trump.

Broken. Qualcosa si è rotto negli Stati Uniti?

«Qualcosa non si è rotto? Siamo più divisi di quanto non siamo stati dalla nostra guerra civile, la nostra economia è in frantumi, "guidiamo" il mondo come numero di contagio da Covid-19. Abbiamo un narcisista folle e totalmente corrotto alla Casa Bianca, una cabala codarda di senatori repubblicani che lo abilita e un'orda di idioti che corrono senza mascherine pensando di attuare una sorta di dichiarazione politica. Vorrei che si potessero solo infettare a vicenda. Sì, qualcosa si è rotto negli Stati Uniti. Il contratto sociale. Siamo diventati così paranoici sui nostri diritti individuali che abbiamo dimenticato che i politici hanno delle responsabilità sociali».

Nel sesto racconto, “L’ultima cavalcata”, racconta la realtà del muro tra gli Stati Uniti e il Messico. Il sogno americano esiste ancora, anche dopo la morte di George Floyd?

«Penso di sì, ma è decisamente minacciato dal fascismo strisciante dell'amministrazione Trump. E penso che adesso qualcosa debba cambiare. Se il sogno americano non vale per tutti, allora non può esistere proprio per nessuno».

Ci spieghi meglio.

«Per troppi, specialmente per le persone di colore, il sogno americano in realtà è stato un incubo. Siamo ormai pronti a riconoscere pubblicamente che il razzismo ha impedito a intere generazioni di sentirsi parte di qualcosa e ora i tempi sono finalmente maturi per un cambiamento».

Immagino che lockdown non abbia cambiato la sua routine di scrittura. Ma il mondo cambierà?

«Come dicono i buddisti, "l'unica costante è il cambiamento". È difficile immaginare che nel prossimo futuro riusciremo a scongiurare nuove pandemie e tutto ciò cambierà il modo in cui viviamo e lavoriamo, i nostri rapporti interpersonali e il volto delle nostre città. Credo che non dobbiamo sprecare questa crisi, ricordandoci la bellezza degli affetti, l’importanza del silenzio e il valore della lettura. Vedremo cosa accadrà».

L’incipit perfetto è un miraggio per ogni scrittore. Ne “Lo zoo di San Diego” ha fatto bingo?

«Sai, ad essere sincero, non ho idea da dove provenga quella storia. Per anni ho avuto in mente questa frase – “Nessuno sa come ha fatto lo scimpanzé a prendere la pistola” – e un giorno ho iniziato a pensarci su. La storia è nata mentre la scrivevo e sino alla fine non sapevo come sarebbe andata finire. Lo ammetto, è stato davvero divertente».

Rapina sulla 101. Perché questo omaggio a Steve McQueen?

«Steve McQueen e la Highway 101, la Pacific Coast Highway, sono il massimo dello stile ai miei occhi. Ho pensato che sarebbe stato divertente riunire questi due elementi in uno splendido mix adrenalinico. Vedi, buona parte delle storie di Broken riguarda la perdita e il protagonista di questa storia sta cercando di ricreare un mondo perduto e idilliaco, che però non è mai esistito davvero».

Anche in Broken, come in Corruzione, parli della polizia. Ma accusare l'intera polizia di razzismo può essere la soluzione?

«No, affatto. È tempo di “Re-Fund the Police”, ovvero di ripensare il corpo di polizia. Spesso la polizia sorveglia le persone partendo dal presupposto che le persone stesse sono "il nemico", in una sorta di “noi contro loro”, finendo per generare un clima di odio reciproco. Paradossalmente credo sia necessario investire più soldi per reclutare e addestrare poliziotti, eliminando i razzisti e chi mostra segni di squilibrio, sradicando alla radice elementi di conflitto anziché prepararsi a nuove crisi».

Cosa ne pensa della cosidetta “cancel culture”. È giusto demolire le statue?

«Bene, alcune delle statue negli Stati Uniti dovevano essere rimosse. Non ho mai capito perché abbiamo eretto monumenti ai traditori. Il problema è che quasi inevitabilmente questa protesta può andare in qualsiasi direzione».

Mr. Winslow, crede che Trump stia legittimando il razzismo e la violenza? L’America sta correndo incontro al fascismo?

«Non avrei potuto dirlo meglio. Trump ha iniziato la sua carriera politica con una campagna denigratoria e razzista contro Obama, proseguendo contro “il muro per i messicani” e oggi fa di tutto per fornire supporto ai suprematisti bianchi, incoraggiando palesemente i suoi sostenitori a picchiare i manifestanti. Sì, penso che Trump abbia un atteggiamento fascista. Adesso dobbiamo capire se riuscirà a trasmetterlo a tutto il paese».

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