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Noi che guardiamo Armani come si guardano gli Uffizi

Il tributo de La 7 a Giorgio Armani, sabato, in occasione della sua sfilata evento era doveroso ma, a nostro avviso, un po’ troppo cerimonioso e, sostanzialmente, lontano da quei canoni di rigore e compostezza che caratterizzano lo stile asciutto di Re Giorgio.

Una serata interamente dedicata all’uomo che ha rivoluzionato i canoni della moda femminile, iniziata con uno speciale di “Otto e mezzo” condotto da Lilly Gruber, cliente affezionata del marchio, proseguita con un documentario sui suoi successi mondiali, e conclusasi con la proiezione di American Gigolò, pellicola che viene ricordata per due sole sequenze: quella in cui Richard Gere sceglie il suo look, firmato Armani, e quella in cui Richard Gere è in boxer davanti allo specchio.

Armani – a prescindere dal genio creativo – è un eccellente imprenditore, uno dei pochi che resta a capo alla propria azienda, senza cedere alle lusinghe della quotazione in borsa, che durante l’emergenza virus si è speso in donazioni e riconvertendo alcuni suoi stabilimenti alla produzione di camici e, che, scegliendo di sfilare a Milano e non a Parigi, a porte chiuse, ha dato un segnale di responsabilità in un mondo un po’ fatuo come quello della moda.

Ma, appunto, l’evento centrale e irripetibile è che Giorgio Armani ha sfilato, sì, a porte chiuse, ma dando la possibilità a noi mortali da grandi magazzini di seguire su La7 venti minuti di bellezza e cultura. Nessuna concessione a eccentricità da passerella, nessun eccesso, regia e musica di grande suggestione Al terzo abito che sfilava, abbiamo avuto i sintomi della sindrome di Stendhal, tale ci è parsa la raffinatezza delle creazioni e dopo dieci minuti volevamo acquistare anche gli abiti maschili. Alla quinta giacca ricamata, di quelle che ti scivolano addosso come una seconda pelle e che, senza una scollatura, senza un ammiccamento alla impudicizia, senza un superfluo vedo e non vedo, fanno apparire sensuale anche un manico di scopa, ci siamo chiesti se avessimo almeno un’occasione decente per indossare un capo del genere, trovandolo inadatta, comunque, per la riunione fra ex compagni di scuola.

Certo, non sono abiti alla portata di tutte le tasche, a meno di non optare fra la scelta di un completo da sera e l’acquisto dell’auto nuova, considerando peraltro che non si può usufruire del bonus rottamazione neanche portando gli abiti dismessi. Ma, alla fine, che importa? Bastava prendere spunti sullo stile e seguire la sfilata come un documentario sugli Uffizi, perché, come sostiene Re Giorgio, «Lo stile è avere coraggio delle proprie scelte, e anche il coraggio di dire di no. È gusto e cultura».

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