Sì, un film satirico può essere politico, come dire: una risata li seppellirà. O almeno questo è uno degli intenti del nuovo film di Sacha Baron Cohen che torna ad indossare la divisa d’ordinanza del giornalista televisivo kazako in “Borat Subsequente MovieFilm”, girato nei primi mesi del lockdown, in esclusiva mondiale su Amazon Prime Video. Nel 2006 “Borat - Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan” fu candidato all’Oscar come migliore sceneggiatura e lo straripante Sacha Baron Cohen vinse il Golden Globe come migliore attore, nelle vesti di un personaggio ormai iconico fra gag e ilarità, in missione negli Stati Uniti (che lui chiama “US+A”). Ma dopo aver concluso la missione, il regime kazako lo aveva condannato ai lavori forzati in un Gulag. Quattordici anni dopo lo ritroviamo in catene ma pronto a tornare in azione per volontà del suo leader: «È tempo per me di tornare nella Yankee Land per salvare la mia gente» ovvero «conquistare il rispetto di McDonald Trump per la gloriosa nazione del Kazakistan».
Sacha Baron Cohen (protagonista di recente della serie tv “The Spy”) torna in azione con un film scomodo, pieno di trovate demenziali e in cui si prende il ruolo della pecora nera per sfatare – con l’ausilio di una camera nascosta – il lato oscuro dell’americano medio che spesso e volentieri ride alle sue battute sulle donne e gli ebrei (l’attore è londinese, di fede ebraica).
In questi giorni sui manifesti e sui giornali campeggia la frase «indossa la mascherina, salvati la vita» ma come e cosa Borat scelga di coprire, beh, è molto discutibile. Ma chi ha diffuso il Covid-19? Gli intervistati non hanno nessun dubbio: «Sono stati i cinesi in laboratori, altroché pipistrelli». Una tesi lanciata da Trump e qui ribadita dalla voce dal suo vice, Mike Pence, dall’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani e da una coppia di uomini americani che compra armi e carta igienica «perché il Governo ci vuole rinchiudere tutti in casa». Borat/Cohen parla con la gente per strada e negli studi medici, si pone volutamente in ridicolo con camuffamenti e battute al vetriolo ma ciò fa sì che gli intervistati si lascino andare e le parole che ascolterete vi faranno ridere e rabbrividire, perché le elezioni – come dimostra anche il caso Brexit – non si vincono nelle grandi città ma in tutto il paese, lì dove le fake-news la fanno da padrone. Una prova? Ad un raduno ultraconservatori e negazionisti del virus, fra armi automatiche e bandiere sudiste, Borat canterà una canzone contro Obama, Fauci e i cinesi, prontamente ripetuta in coro dal pubblico.
Giunto in US+A, Borat è costretto a travestirsi perché le persone per strada lo riconoscono. In missione si troverà fra i piedi la propria figlia, Tutar (Maria Bakalova), decisa a seguire il padre per «diventare la nuova regina Melania» e così nascerà un piano: renderla sessualmente appetibile e offrirla in dono prima a Pence – in una esilarante scena in cui Borat-Cohen, maestro dei camuffamenti, si travestirà da Mc Donald Trump in una convention repubblicana fra i fischi del pubblico – e successivamente all’ex sindaco di New York, Rudolf Giuliani. Ne verrà fuori la scena più discussa e imbarazzante della pellicola, al punto che lo stesso Trump, stuzzicato sul tema dalla stampa sull’Air Force One, ha dichiarato: «Non sono un fan di Sacha Baron Cohen, anni fa aveva tentato di raggirarmi, è un impostore, non lo trovo divertente, per me è un verme». Prima dei titoli di coda, l’ultimo messaggio: «Andate a votare”. Firmato, Borat.
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