“Questa è Roma!”. Ma come nacque l’Urbe che impose ordine e governò su tutto il Mediterraneo e non solo, divenendo leggenda? All’inizio c’erano le tenebre, un mondo primitivo e selvaggio, fatto di tribù e credenze basate sul sangue e il timore negli dèi, entità che potevano schiacciarci con un battito di ciglia.
La nascita di Roma è l’oggetto della nuova serie Sky Original "Romulus", ideata da Matteo Rovere (il regista de “Il primo Re”) sbarcata in esclusiva su Sky (e in streaming su Now tv), con un’ottima accoglienza da parte di pubblico e critica. Dieci episodi, girati in protolatino (ma su Sky Atlantic si potrà scegliere il linguaggio originale o la versione doppiata, in italiano) per una serie creata, diretta e prodotta dallo stesso Matteo Rovere, che firma per la prima volta un progetto per la tv, in una produzione Sky, Cattleya e Groenlandia, diretta a sei mani da Rovere, Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale.
Ambientata nell'ottavo secolo prima della nascita di Cristo nelle attuali terre delle campagne laziali, spicca la grande attenzione alla fedeltà storica e ai particolari (con un opening theme cantato da Elisa e la colonna sonora dei Mokadelic, quelli di “Gomorra, la serie”) per un racconto di guerra e fratellanza su cui incombono il potere della natura e degli dèi, ispirandosi all’epos nella sua versione classica.
Ma contemporaneamente alla messa in onda, sbarca in libreria “Romulus: Il sangue della lupa”, primo libro della trilogia scritta da Luca Azzolini e pubblicata da HarperCollins (a seguire “Romulus - La regina delle battaglie” uscirà a fine novembre e “Romulus - La città dei Lupi” a gennaio 2021) con protagonisti Enitos e Yemos, Re Numitor e la vergine vestale Ilia – figlia di Amulius, fratello minore succeduto al sovrano.
L’autore, di origini mantovane, è una firma del mondo fantasy e dei libri per ragazzi che qui esordisce nella narrativa generale con un progetto ambizioso che, con la benedizione del direttore editoriale HarperCollins – Claudio Carabba – si accosta, amplia e accompagna la narrazione tv, creando un unicum, tutto da leggere.
Azzolini, com’è nata la trilogia Romulus?
«Questo è un progetto crossmediale nato da un’esigenza felice. La produzione cercava un autore con un background storico e una preparazione capace di raccontare la nascita di Roma mentre io volevo mettermi alla prova nella narrativa per adulti e in questa trilogia mi hanno lasciato libero di muovermi: ho potuto approfondire le storie e il vissuto di alcuni personaggi, creando un contesto di riferimento valido per il lettore e ancor più apprezzato dallo spettatore della serie tv per una narrazione che si sovrappone e integra con le immagini».
Ha visto la serie tv prima di mettersi a scrivere?
«Ho letto solo le sceneggiature, pensi che ho visto le prime due puntate soltanto alla fine del secondo libro. Leggendo mi sono subito reso conto che c’erano degli spazi d’azione, avevo la possibilità di riempire i vuoti, muovendomi al di là della necessità dettata dai ritmi tv. Ciò che mi ha soddisfatto è stata la libertà d’azione, il fatto che le mie idee siano entrate fluidamente nella narrazione complessiva, tanto che le immagini convergono sulla pagina e dalla pagina si passa allo schermo».
Tribù e popoli in lotta alla base della nascita di un impero. La violenza come forma d’azione assoluta?
«L’ottavo secolo avanti Cristo era un’epoca brutale, non possiamo nasconderci dietro un dito. La violenza era una logica d’azione necessaria per non essere schiacciati e riuscire a sopravvivere. Eppure, i personaggi principali comprenderanno l’importanza di un pensiero inclusivo per porre le basi della nascita di un impero. Vede, a quel tempo, nelle terre del Lazio c’erano più di trenta città confinanti e trenta sovrani con idee differenti, cui dobbiamo sommare le spinte dei popoli del Nord. Tutte realtà in lotta fra loro eppure da questo coacervo è nata Roma, dalla contaminazione, non dalla violenza».
Romolo e Remo diventano Etinos e Yemos. Colpo di scena?
«Piuttosto il desiderio di smarcarsi da figure che sono state sovraccaricate nel corso del tempo da una leggenda ingombrante che avrebbe impedito la libertà di narrazione».
E sul fronte dell’attendibilità storica?
«Qui ho riposto la massima attenzione. La serie usa il protolatino, io ho usato anche delle parole in "osto" ovvero la lingua che ha contaminato la nostra».
“Romulus”, la serie, richiama dinamiche d’azione e di narrazione viste e apprezzate anche in “Gomorra” e “Suburra”. Cosa ne pensa?
«Penso faccia parte della volontà esplicita di costruire una serialità italiana, dando una impronta precisa allo stile narrativo, mescolando la cura del contesto alla presenza di interpreti e attori sempre più riconoscibili dal pubblico. Romulus è lontana nel tempo ma non è così distante da noi. Romulus racconta anche qualcosa di come siamo oggi».
Ovvero?
«La difficoltà di essere inclusivi, la gestione del potere, l’idea del benessere comune. Pensi al comportamento di Donald Trump, alla sua minaccia di non voler cedere pacificamente il potere nelle mani altrui…».
Un libro che si apre con una sorta di pandemia. Anche questo è molto attuale.
«La narrazione si apre con 42 giorni di siccità che stravolgono tutto e rompono gli equilibri, mettendo in discussione il re Numitor, il sovrano di Alba Longa e della Lega dei Trenta, un vecchio a cui gli dei si rifiutano di parlare, in un legame fra potere e natura che segnerà le sorti di Roma, il nostro stesso destino».
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