Il nuovo romanzo dello scrittore svedese Niklas Natt Och Dag “1794” (Einaudi, pp. 532, euro 20) arriva in libreria a un anno esatto di distanza da “1793”, primo libro dell’autore, di cui il volume fresco è l’ideale seguito e con cui condivide il medesimo protagonista, Jean Michael Cardell, detto Mickel, ex sergente maggiore di artiglieria con il braccio sinistro di legno, uomo dotato di una forza eccezionale, che si distingue per aver fatto «della lotta a ogni sopruso lo scopo della sua vita».
“1794” è un libro emozionante, leggendo il quale diverse volte può capitare al lettore di ritrovarsi con gli occhi pieni di lacrime. Eppure il suo andamento potrebbe lì per lì dare l’impressione d’essere fin troppo difficile e coinvolgente. Certi momenti sei lì a chiederti se quello che stai leggendo è un saggio, un romanzo storico, il racconto autobiografico di un autore dell’epoca, o per l’appunto quello che è, un’opera di fantasia, un giallo avvincente, un thriller appassionante. In effetti, è come se fosse stato scritto a quattro mani dall’Umberto Eco del “Nome della rosa” e dal Jacques Le Goff del “Medioevo”. La lettura di questo libro si rivela come una scalata alla conquista della vetta di una montagna. Non foss’altro per le origini nordiche di chi l’ha scritto. A mano a mano che vai avanti e ti arrampichi, l’impervio cammino ti rivela a poco a poco paesaggi di una tale inaspettata e glaciale bellezza, mondi e prospettive di cui tu non avresti mai nemmeno sospettato l’esistenza e che non avresti mai pensato di potere scoprire.
“1794” è suddiviso in quattro parti, esattamente le quattro stagioni dell’anno 1794 in cui s’intrecciano i diversi piani narrativi del romanzo. Tutta la prima parte è occupata dal racconto di uno dei protagonisti, Erik dei Tre Rosor, il giovane che insieme col cugino Johan Axel parte alla volta di San Barthélemi (l’attuale isola di San Barth, oggi mèta dei vip nel Mar dei Caraibi), allora nuova colonia della corona svedese. E qui s’apre un impressionate, brutale spaccato sullo schiavismo. A più di duecento anni di distanza dai fatti raccontati, guardiamo con lo stesso occhio incredulo e orripilato che cos’era un sistema sociale ed economico basato sulla schiavitù. Ma con la comparsa, all’interno della narrazione, della personificazione del Male – l’eccentrico potente Tycho Ceton – la prospettiva cambia repentinamente e ci ritroviamo in Svezia, a Stoccolma, dove una matassa di crimini inimmaginabili dovrà essere dipanata appunto dal mercenario Mickel Cardell.
A proposito della molteplicità nella letteratura dei nostri giorni e di quelli a venire, Italo Calvino ha scritto: «Quella che prende forma nei grandi romanzi del XX secolo è l’idea d’una enciclopedia aperta (…). Oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima». E parla anche di una “forza centrifuga” che si sprigionerà dal romanzo del futuro, capace di regalare ai lettori una «pluralità di linguaggi come garanzia di una verità non parziale».
Ecco, credo che sia questo l’obiettivo perseguito e raggiunto da Niklas Natt Och Dag nei suoi romanzi, sia in “1793” e, soprattutto in questo “1794”, non narrare semplicemente una storia, ma accompagnare il lettore in un territorio in parte ancora inesplorato, quello in cui l’autore riesce a fondere, in un’unica emissione, densità lirica, efficacia descrittiva e profondità speculativa. Se questo è un semplice “giallo”.
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