Premessa. La nostra competenza calcistica è pari alla nostra conoscenza della fisica quantistica, pertanto sin da ora porgiamo ai tifosi le nostre sentite scuse se parliamo di “Mi chiamo Francesco Totti”, trasmesso lunedì su Sky Cinema e Sky Sport. Il documentario di Alex Infascelli, già presentato alla Festa del Cinema di Roma, aveva molti pregi, con la voce narrante del protagonista che ripercorreva la vita e la carriera del Pupone, attraverso filmati familiari, brani di repertorio, sequenze dei suoi gol, video amatoriali e spezzoni televisivi. Innanzitutto vanno riconosciuti i meriti tecnici: il primo, il montaggio di tutto il materiale, tessuto con una sua trama narrativa, nella quale si alternavano momenti di vita e di sport, dagli inizi nel mondo del calcio, agli affetti della famiglia e degli amici più vicini, insieme con le tappe di una carriera sempre in ascesa. Un materiale reso ancor più vivo e fluido da una splendida colonna sonora, che viaggiava nel tempo dei ricordi ma anche nella sintonia del racconto stesso. Né poteva esserci migliore testo che quello di “Solo” di Claudio Baglioni per descrivere con musica e immagini l’addio di Totti alla sua carriera calcistica.
Sono molte, quindi, le ragioni per le quali “Mi chiamo Francesco Totti” ci è piaciuto, anche dal punto di vista narrativo, perché raccontava una storia senza indulgere solo nella biografia ma anche nell’essenza del personaggio che si presentava senza alcuna retorica e tenendo presente il leit motiv della sua vita, la lealtà alla Roma, non solo come squadra o come città, ma quasi come bozzolo in cui è cresciuto e il destino o, diremmo quasi, la provvidenza che ha creato alcune condizioni che gli hanno consentito di ribaltare situazioni a lui sfavorevoli.
È stato bravo, Totti, nel sapersi porgere con sincerità anche nei suoi momenti meno “romantici”, nei rapporti con gli allenatori, nelle sue intemperanze sul campo, nella sofferenza degli infortuni. E non c’era bisogno di essere amanti del calcio per comprendere, soprattutto nella sequenza dei tanti gol realizzati in venticinque anni di attività, la bellezza del gesto tecnico, e, ancor di più, il talento, nel raffronto fra il Totti bambino che giocava nei campi di periferia con il Totti capocannoniere.
Ah, comunque, non c’era bisogno di capirne di calcio, bastava aver studiato un po’ l’epica, ma non quella degli eroi senza macchia e senza paura: l’epica di quegli uomini che nascono con un dono e non lo sprecano, che non dimenticano le loro origini, che mantengono i loro valori, che sanno incontrarsi con il successo e la sconfitta e trattare questi due impostori allo stesso modo.
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