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Il dovere d’informazione nel mondo delle fake news, Cruz: "I lettori sono come noi giornalisti"

«Se ci fosse una farmacia della felicità, una sarebbe Taormina. Una chispa de Dios, una scintilla di Dio, questo posto». È lo spagnolo Juan Cruz Ruiz a parlare così, mentre ammira le bellezze di Taormina, quando lo abbiamo incontrato, ospite della recente decima edizione di Taobuk, dove ha conversato con Mario Vargas Llosa e insieme a Franco Di Mare su “L’entusiasmo di essere liberi”. Juan Cruz, giornalista di razza, narratore e saggista, è uno dei fondatori di “El País”, il cui primo numero uscì il 4 maggio 1976, nel periodo della transizione democratica spagnola, diventando in pochi anni il quotidiano di riferimento della moderna Spagna progressista. Sul “suo” giornale Cruz continua a tenere alcune rubriche per i supplementi culturali “Babelia” e “El Viaje”, e proprio per “El Viaje” è uscito il suo reportage su Taormina, la chispa de Dios che lo ha tanto entusiasmato.

Innamorato di Tenerife dove è nato a Puerto de la Cruz, anche se vive a Madrid (ma a Tenerife sempre ritorna), innamorato del giornalismo (“Periodismo? Vale la pena vivir para este oficio”, così si intitola uno tra i suoi libri), curioso del mondo e della gente (a Taormina voleva capire el alma, l’anima del luogo e dei taorminesi), ama viaggiare e infatti – dice – «viaggia come se i suoi piedi fossero giovani». «Al momento – continua allegramente – i piedi non mi tolgono l’illusione di una vera gioventù». A parte, ovviamente, l’allerta mondiale per l’emergenza sanitaria.

Dottor Cruz, “El País” è nato durante la delicata transizione dal franchismo alla democrazia. Quali sono stati i momenti più emozionanti e quali i più difficili vissuti dal Paese e dal giornale?

«Il più delicato, dal mio punto di vista, fu quello immediatamente dopo la morte del dittatore. C'erano forze importanti che aspettavano che quel momento tornasse a propiziare un’involuzione per ripetere la dittatura ancora più duramente. Persone vincolate al vecchio regime continuavano ad occupare posizioni chiave della società e del potere, e furono quelle che, cinque anni più tardi, infatti, provarono un colpo di Stato. Colpo di stato deciso anche prima della morte del dittatore, e che simboleggiava, come uno specchio, quello che lo stesso Franco fece contro la Repubblica. Fallì, e questo fu un trionfo della democrazia, anche se persistettero le minacce, e fu prolungata la repressione della libertà (sull’aborto, sul divorzio, sull’educazione religiosa) che ha marcato l’epoca intera della transizione e si è spinta, credo, fino ad ora, perché la destra e l’estrema destra non hanno accettato nemmeno le loro successive sconfitte. Sono tranquille solo quando detengono il potere, come se appartenesse loro per diritto divino».

Certo, dal cartaceo al digitale la sfida è stata ed è grande...

«Il cambio dal cartaceo al digitale continua. Siamo passati da Gutenberg agli schermi; se la fase precedente è stata superata, questo passaggio suppone un allenamento ancora più rischioso ed è un processo che in questo tempo di pandemia è stato una prova anche per le nuove generazioni del giornalismo. Il dramma della pandemia ha confinato nelle loro case i giornalisti e i tecnici che permettono di mandare avanti tanto le edizioni di carta che quelle digitali. Se non fosse stato per questo giornale (e per tutti quelli del mondo), se non fossero andati tanto avanti nel progresso cui obbliga Internet, ora non sarebbero usciti i giornali in nessuno dei due formati. Saremmo ritornati all’età della pietra. Una generazione giovane di giornalisti ha fatto veri miracoli perché la stampa continuasse a uscire in ambedue i formati. A me, questo, come veterano mi ha lasciato ammirato».

Come sono cambiati i lettori in più di 40 anni di storia del giornale?

«I lettori sono come noi, i giornalisti, vogliamo notizie, e le vogliamo complete. Questo si verifica da quando “El Pais” nacque, ma avviene dalle origini di questo lavoro. Da questo punto di vista, noi chiediamo le stesse cose che chiedono i lettori, ma ora abbiamo una difficoltà che si aggiunge a quella che abbiamo sempre avuto per far sviluppare il giornalismo: le reti sociali hanno sostituito l’informazione con le fake news che si fanno strada impunemente e rendono difficili i controlli prima che vengano date le notizie. Senza controlli non c’è giornalismo, ma rumores».

Appunto, il dibattito sulle fake news è continuamente aperto. Cosa ne pensa? E un giornale autorevole come il Suo come le affronta?

«Facendo, come ho detto, della verifica e della responsabilità di informare un impegno maggiore. L’esperienza maturata dal giornale permette di dire che in questo senso non c’è da scoraggiarsi, e il fatto che molte poche volte siamo stati smentiti in tanto tempo è una garanzia di cui, come redattore veterano del quotidiano, mi sento estremamente orgoglioso».

Come guarda al futuro della stampa?

«Ora ci sono sempre più iscritti, che già superano largamente i centomila, e questa è una garanzia di finanziamento, e dunque di libertà di informazione. Credo che le incertezze dell’immediato passato, per tutti i giornali, si possono superare grazie all’evidenza che senza lettori, ora più che mai, non si può fare giornalismo».

In questi tempi di Covid quali sono le condizioni in cui vive “El País”, come ha vissuto questo tempo sospeso, un grande giornale che si apre al mondo?

«Credo che in “El País” non cambiano i presupposti sui quali è nato: dare informazione verificata su quello che succede in Spagna, in Europa, in America Latina (dove abbiamo redazioni molto potenti, per il cartaceo e per il digitale) e nel mondo, dove abbiamo corrispondenti molto forti. Il direttore Javier Moreno, è solito dire, come Arthur Miller, che un giornale è una nazione che parla con se stessa. Ora è anche il mondo a parlare con se stesso per rafforzare i presupposti sui quali questo bellissimo e insostituibile mestiere è stato inventato secoli fa».

Come riesce “El País” ad attrarre i giovani, la fascia d’età che legge di meno?

«Non ci sono lettori giovani o veterani. Un quotidiano si fa per far sì che tutti i lettori si sentano informati in maniera adulta. Non ci sono informazioni da giovani e da vecchi; secondo la mia opinione personale se scrivessimo per i vecchi staremmo offendendo i vecchi e se informassimo solo i giovani staremmo offendendo i vecchi e i giovani».

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