"Casa Lampedusa” (Bompiani, nella traduzione di Piernicola d’Ortona e Maristella Notaristefano) è un atto d’amore per la letteratura. Altrimenti come si spiegherebbe la dedizione con cui Steven Price – poeta e scrittore canadese, docente all’Università di Victoria – si è tuffato nel mondo di Tomasi di Lampedusa, raccontando l’uomo e le sue ferite, ricreando con un gioco di specchi la vita del letterato de “Il Gattopardo”, partendo da una mattinata di gennaio del 1955, a Palermo? L’idea stessa che in Nord America si leggano e si rileggano le sorti di Don Fabrizio è la testimonianza più forte e vera del fatto che l’arte – la letteratura ma non solo – può superare tutti i confini, sbaragliare l’idea che del patrimonio siciliano possano scrivere solo gli isolani. E invece Price, con un romanzo toccante e pieno d’una luce malinconica, in cui il senso della fine affiora chiaramente, ci consegna un ritratto diverso di Tomasi di Lampedusa, non la consueta agiografia, piuttosto un canto d’amore (come emerge in questa nostra chiacchierata). E in questi tempi di lockdown, per non perdere il contatto con i lettori, Bompiani ha ideato un BookClub virtuale – fortemente voluto da Beatrice Masini, direttrice editoriale Bompiani – di cui è protagonista online proprio “Casa Lampedusa” (appuntamento l’1 dicembre). Innanzitutto cosa ti ha spinto a studiare e scrivere di Tomasi di Lampedusa? «Il Gattopardo l’ho letto per la prima volta più di vent'anni fa e ci sono tornato spesso nei decenni successivi. Ma per molti anni non sapevo niente dell'uomo, l'autore. Quando finalmente ho letto una biografia della sua vita mi sono commosso, sorpreso dagli echi che ho percepito tra la sua vita e il romanzo che aveva scritto. Al centro del mio romanzo, tuttavia, ci sono i miei sentimenti complicati sull'arte e la vita e su come i due si intersecano e cosa significhi una vita vissuta all'ombra dell'arte. La vita di Tomasi di Lampedusa mi colpisce ancora come un commovente esempio di come stare al mondo». Che sensazioni ti ha trasmesso l’isola? «Mi sono innamorato di Palermo, della Sicilia, del suo vasto e generoso mondo nascosto, della sua gente, della sua anima. Quando ho scritto di Tomasi di Lampedusa ho sentito una grande responsabilità nel dover cercare di cogliere i dettagli. Ricostruire la vita di una persona che ha realmente vissuto, attraverso la finzione, implica la ricerca dei momenti nascosti, non registrati. E io, ho provato a farlo». «Se vogliamo che tutto rimanga com'è, tutto deve cambiare». Questa massima che viene interpretata in modo diverso in base alle intenzioni. Lei cosa ne pensa? «Oh, queste parole sono la chiave di tutto! Decisive per capire non solo l’Italia ma il modo di vivere siciliano. Per uno straniero come me, si è trattato di una sfida. C'è la battuta ironica e secca di Tomasi di Lampedusa, tuttavia in inglese queste parole sono note da più di cinquant'anni per la loro pungente saggezza, racchiudendo la natura paradossale della vita umana, sia politicamente che filosoficamente. Gli assoluti possono continuare; ma i particolari cambieranno, dovranno cambiare perché tutto resti uguale». Ovvero? «Il grande soggetto di Tomasi di Lampedusa era il cambiamento, che significa tempo, che significa perdita». Scrive Lampedusa : «Non riusciva a ricordare un tempo in cui il proprio piacere non fosse stato contaminato dalla perdita, dalla tristezza». Era questa la sua forza? «Non so se la sua pervasiva tristezza e nostalgia fossero la sua forza; ma per gran parte della sua vita lo hanno tenuto a freno, gli hanno impedito di agire con forza e decisione. Eppure, quando ha iniziato a scrivere, cioè quando ha iniziato a rischiare, è stato proprio questo suo modo di intendere la vita, a plasmare la sua scrittura, i suoi personaggi, il suo lavoro, e tutto ciò lo ha reso unico, forte». Sono curioso, in Nord America si legge Lampedusa? «Il Gattopardo rimane una presenza tranquilla ma persistente nel mondo letterario del Nord America, un classico di un secolo ormai passato. Viene stampato ed è sempre disponibile sugli scaffali delle librerie. Viene ancora letto nei corsi universitari sulla letteratura mondiale. Promuovendo e discutendo di “Casa Lampedusa” sono rimasto stupito di quanti lettori abbiano espresso il loro profondo legame per “Il Gattopardo” che è sempre vivo, tenace. Ma in lingua inglese, il Gattopardo esce dal suo particolare contesto politico siciliano/italiano». Con quale risultato? «Per il lettore occasionale è uno studio del carattere di don Fabrizio, l’esame di un uomo complicato che vive un periodo di grandi sconvolgimenti e mutamenti. C'è un'atemporalità nel suo ritratto dell'invecchiamento, del passare dei mondi, che penso continuerà a risuonare tra i lettori finché ci sarà letteratura». Steve, secondo lei la sorte di Tomasi di Lampedusa è un ammonimento per tutti gli scrittori? «Non esattamente, no. Da un lato c'è tanta tristezza nel destino cui andò incontro Tomasi di Lampedusa ovvero la consapevolezza di dover morire con la sensazione che la sua opera sarebbe rimasta inedita, morire nella disperazione. Ma poi c’è la redenzione. La sua opera è stata effettivamente riconosciuta e celebrata, onorata in tutto il mondo». E quale era il suo obiettivo in tal senso? «Ho voluto ritrarre in Casa Lampedusa entrambi gli aspetti: il fallimento di Tomasi, così come il suo trionfo finale. Il suo dono al mondo alla fine, trionfa. E c'è tanta speranza in questo».