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"L'Alligatore", intervista a Shalana Santana: "Io, straniera perfettamente integrata"

Un hard-boiled all’italiana, in cui l’elemento noir risiede nel ritrarre una società marcia dentro, causa di paure, dubbi, conflitti per i protagonisti. Disponibile già su RaiPlay, è approdata su Rai2 “L’Alligatore”, fiction di Daniele Vicari ed Emanuele Scaringi, prodotta con Fandango e tratta dai romanzi di Massimo Carlotto (Edizioni E/O).

Protagonista della fiction è Matteo Martari, nei panni di Marco Buratti detto L’Alligatore, ex cantante blues uscito dal carcere dopo sette anni di reclusione e diventato investigatore privato. Affascinanti i luoghi della storia che ritrae un Veneto grigio e piovoso, a tratti ambiguo, ove il protagonista inizia una nuova vita combattendo contro organizzazioni malavitose e ambienti collusi con la criminalità.

I suoi metodi sono decisamente poco ortodossi, ma è affiancato da due preziosissimi collaboratori, ovvero gli amici Max “la Memoria” (Gianluca Gobbi), attivista, e Beniamino Rossini (Thomas Trabacchi), contrabbandiere. Ma sono molto importanti nella vicenda anche le protagoniste femminili: l’ex moglie di Buratti, Greta (Valeria Solarino), la giovane Virna (Eleonora Giovanardi) e Marielita, compagnia di Max e amica di Marco, figura che fa da collante tra i due personaggi. Ad interpretarla l’attrice brasiliana Shalana Santana, che vedremo prossimamente nel film “Free”, commedia sulla terza età di Fabrizio Maria Cortellesi. Le abbiamo rivolto alcune domande.

Nella serie interpreti una giovane donna straniera perfettamente integrata nella vita e nella società italiana. Cosa puoi dirci del personaggio?

«È una biologa con un’aura mistica, comunica con le piante ed è impegnata in cause ambientaliste. È anche una femminista convinta ed una donna molto indipendente che aiuterà Marco nelle sue indagini, spiegandogli com’è cambiato il mondo dopo sette anni. Si assisterà ad uno sviluppo del suo rapporto con Max, a causa di un’evoluzione nella sua vita, in cui lei vorrà altro. Un aspetto importante del personaggio, che mi tocca da vicino, è che nella serie si evita di spiegare il perché Marielita viva in Italia, contrariamente a quanto accade in alcune produzioni audiovisive, in cui è tangibile il bisogno didascalico di spiegare il motivo per cui un personaggio straniero risieda in questo paese. Una tendenza che rappresenta l’esatto contrario di quanto accadeva nel cinema tra gli anni 50 e 70 e oggi nel cinema francese, dove nel 90% dei film ci sono personaggi di tutte le nazioni».

Le donne de “L’’Alligatore” hanno un ruolo importante nella trama. Secondo te anche nella finzione le interpreti femminili stanno diventando sempre meno “spalla” e sempre più protagoniste?

«Credo proprio di sì, ed era ora che ci fosse questo cambiamento. Nella nostra serie le donne hanno un ruolo fondamentale nella vicenda, ma sono anche persone autonome, con una storia personale, indipendentemente da ciò che accade al protagonista: Marielita, Virna e Greta seguono ognuno la propria strada, senza aspettare nessuno. Questa loro caratteristica può essere d’esempio a un pubblico di ragazze giovani, perché è importante che la tv mostri donne realizzate e sicure di sé. Credo che stiamo vivendo negli ultimi anni un’ondata di nuovo femminismo, in cui le donne non devono dimostrare più niente a nessuno ed hanno più voce, anche grazie all’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione».

È una serie atipica per la televisione italiana, tanto nella storia quanto dal punto di vista della realizzazione…

«Si sente una mano diversa ne “L’Alligatore”, con una fotografia più americana alla “True Detective” e un genere noir che non si fa tanto in Italia; e questo è un passo in avanti per percorrere nuove strade nella serialità, come già accaduto con “Rocco Schiavone”. Oltre ad essere occasione per far conoscere al pubblico scrittori italiani di talento. Prima del provino non avevo letto i libri di Carlotto ed ho scoperto tutto un mondo. Per la prima volta ho interpretato un personaggio di letteratura, ed è stato molto interessante, perché già dal libro ho potuto apprendere tanto, secondo la descrizione dell’autore; poi con Vicari abbiamo fatto settimane di prove in teatro, dove siamo riusciti a confezionare il passato dei nostri personaggi, inventandolo noi stessi».

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