«Economia sentimentale non è un ossimoro, non dev’esserlo, altrimenti che futuro c’attende?». Pratese doc, nel 2011 Edoardo Nesi (1964) ha vinto il Premio Strega e incantato i lettori con “Storia della mia gente”, raccontando il tramonto del “suo” mondo, la vendita del lanificio di famiglia, il rapporto con il padre che aveva costruito una realtà, creando lavoro, immaginando un futuro. Negli anni successivi si è riscoperto narratore e traduttore di successo e di recente ha pubblicato “La mia ombra è tua” che diventerà presto un film, «prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci e le riprese – annuncia a Gazzetta del Sud – partiranno questa estate». Oggi Nesi ritorna in libreria con “Economia sentimentale” (La Nave di Teseo) un reportage che vuol decifrare un mondo che cambia piegato dalla pandemia, leggendo segnali e facendo appello a tante voci differenti – da Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat, allo scrittore Guido Maria Brera, autore di “I Diavoli”, divenuto una serie televisiva di successo – e poi ancora grandi imprenditori, disoccupati e partite Iva travolte dalla crisi, ciascuno come un rabdomante in un campo arso alla ricerca di risposte e predizioni. Confinato nella sua Prato, attorniato dalla famiglia, Edoardo Nesi risponde alle nostre domande, condividendo dubbi, certezze, sorrisi. Come nasce questo libro? «Durante il primo lockdown mi sono isolato con i miei affetti e non ho sofferto troppo ma ero bersagliato dalle segnalazioni di amici, imprenditori e commercianti, grandissime o minuscole realtà, che condividevano la loro disperazione. La pandemia è stata ampiamente narrata, allora ho voluto riflettere sull’economia post-Covid, sul mondo che verrà. Ma in che modo? Non come l’intellettuale che interpreta il mondo, ma piuttosto chiamando a raccolta una serie di voci, mettendomi le gambe in spalla per comporre un mosaico di idee in movimento, pur restando confinati a casa». E cosa ha trovato? «Molto più ottimismo di quanto mi aspettassi. Ma soprattutto ho compreso che non esiste una sola narrazione, bisogna calarsi nel territorio per capire le problematiche, le asimmetricità che dovremo affrontare come Paese». Fra le voci raccolte figura anche Guido Maria Brera che parla di «un mondo da reinventare». Di cosa si tratta? «A tutti piace l’idea di lambiccarsi il cervello parlando del futuro. La differenza è che Guido ha costruito il successo proprio sulla capacità di interpretare i tempi, leggendo l’andamento dei mercati e gli investimenti da realizzare, tanto che da anni è considerato uno dei più importanti gestori di fondi. Brera riflette da una parte sull’impatto della disoccupazione e dall’altra sugli spazi che lo smart working libererà». Ovvero? «Pensate alle grandi aziende, ai quartier generali delle banche che spendono milioni di dollari per affittare interi palazzi nei quartieri centrali delle metropoli. Improvvisamente tutto si converte in smart working e non credo proprio che terminata la pandemia si tornerà indietro perché il risparmio è clamoroso. Dico di più, il concetto stesso di lavoro cambierà, sta già cambiando perché deve essere online, convertendo le singole azioni, come le riunioni di brainstorming, in attività online, verso un lavoro flessibile ma delocalizzato». Centinaia di morti per Covid-19 nei bollettini quotidiani e intanto si parla di piste da sci da riaprire. Fa parte della natura umana? «Certamente. La gestione della pandemia è stata complicata, un’operazione inedita ma certamente c’è qualcosa che non torna. Nel primo lockdown eravamo tutti chiusi e ha funzionato ma anche questo sta funzionando, pur applicando chiusure e limitazioni parziali. Si poteva fare diversamente sin da subito?». Il ragionier Fantozzi è considerato l’emblema dello sfigato ma è davvero così? «Durante l’estate ho visto uno dei suoi film e fa sempre ridere. Ma ad un certo punto mi sono reso conto che Ugo Fantozzi ha l’auto di proprietà, una casa e persino un lavoro fisso. Diciamoci la verità, Fantozzi aveva molta più sicurezza economica di noi. È agghiacciante il capovolgimento accaduto sotto i nostri occhi». Nesi, Economia sentimentale è un ossimoro? «No, sono concetti che devono camminare l’uno accanto all’altro. L’economia ha un suo lato romantico». Addirittura. «Certo. Un mutuo è una scommessa nel futuro, si poggia sull’idea che ci sarà un lavoro su cui far affidamento per godersi una casa, magari costruire una famiglia. Lo stesso dicasi per il leasing o le tasse che sono il nostro modo di contribuire alla società». Ma la società liquida, il car sharing e le proprietà condivise sono un passo avanti? «Penso siano un compromesso. Sono figlio di un’altra generazione, la proprietà per me ha un valore, è figlia del lavoro e come detto, della fiducia nel futuro. Ma vedo che per le nuove generazioni le cose stanno cambiando». Dalla chiusura del lanificio di famiglia del 2004 ad oggi, la fine di un’epoca? «Sembrano favole, me ne rendo conto. Il mondo è cambiato di botto come se c’avessero tolto il tappeto sotto i piedi». Nesi come cambierà l’economia? «Ho paura, lo ammetto. Temo che tutti gli imprenditori dovranno avere un canale di vendita online ma ciò cosa significherà? Nel momento di crescita, durante il boom, si è costruito un paese che vanta la scuola pubblica, un sistema pensionistico e un sistema sanitario nazionale che ci cura gratuitamente tutti, un’idea meravigliosa che ormai diamo per scontata. Ma domani? Domani cosa ci aspetta là fuori?».