«Non pretendo di essere bandiera ma darò il massimo per essere l'artista migliore che posso. Andrò a Sanremo per rappresentare la buona musica». Eppure Davide Shorty, siciliano di Palermo trapiantato a Londra, sul palco non sarà solo uno dei 10 concorrenti che stasera (21.25 su Rai 1, Raiplay e Radio 2) si contenderanno il posto per Sanremo Giovani: sarà anche l'artista più a Sud di tutti. Sulle contaminazioni musicali ci ha costruito una carriera, come la sua terra d'origine. Quella Sicilia influenzata ma caratteriale, che ha trasformato la mescolanza in identità. Palermo l'hai lasciata 11 anni fa, cosa ti stava stretto della tua città? «Il siciliano modello mi stava stretto. Ero creativo e screditato. Mi si rispondeva… ma dai! Ma di lavoro invece che vuoi fare? Me ne sono andato perché è paradossale che una terra col patrimonio culturale che ha la Sicilia abbia poi una mentalità chiusa quando si tratta di gestirlo. Sono sempre stato contagiato dalle circostanze, sono molto recettivo in fatto di energia e quando attorno a me è negativa ne risento. Avevo vent'anni, era l’età giusta per mettermi alla prova». Londra ti assomiglia? «Senza dubbio. Fredda ma libera, caotica, multiculturale, musicale, accogliente. Il livello degli artisti con cui mi sono confrontato era più alto di quello a cui ero abituato». In che lingua pensi quando scrivi? «Sono arrivato a Londra che masticavo l’inglese grazie alla musica, avevo l’orecchio allenato. Lì mi sono accorto che l'identità si spalma sulla lingua. Io ho una personalità molto diversa quando parlo o scrivo in inglese rispetto a quando lo faccio in italiano. Sono un ibrido e mi piace». Ti ha fatto mai sentire straniero? «Strano più che straniero. Ha a che fare con la curiosità. Mi sentivo straniero pure in Italia, il siciliano è straniero anche in Sicilia. Come cittadino del mondo, sono straniero dappertutto o non lo sono da nessuna parte». Poi sei tornato in Italia per X Factor. Lo metti tra le cose belle, sul libro nero o nella terra di mezzo? «X Factor mi ha riconnesso alle mie radici, alla tradizione cantautorale italiana. Ascoltavo Tenco, Battisti, Gaber, De Andrè, Concato... tutte influenze che musicalmente mi hanno aperto un mondo. Soul, funk, jazz, hip hop, elettronica... io cerco dappertutto, con la mente aperta». Quello che ascolti si sente in quello che scrivi... «È come l'accento, si deve sentire!». Ma...? «Il post X Factor mi ha causato scompensi talmente profondi che per un periodo ho quasi rimpianto di averlo fatto. Non sapevo come sfruttare quella forza mediatica. Essere “quello di X Factor” toglie identità, ma poi ci ho fatto pace». Anche Sanremo Giovani ha una gran forza mediatica... «La differenza tra quell'esperienza televisiva e questa è che oggi nessuno mi sta mettendo addosso un vestito che non voglio indossare. Sanremo degli ultimi anni si è rinnovato, penso a Diodato, a Ghemon, Mahmood... Alessandro ha rivoluzionato il pop italiano. La mobilità ci ha fatto tutti migranti e questo ci mescola e si sente». Mahmood è un “rappresentante”? «Di un'altra faccia della medaglia, la faccia di chi può raggiungere i propri sogni a prescindere dalla faccia. Io, se dovessi scavare nel mio albero genealogico, chissà che ci troverei». Te ne sei occupato in “Non respiro”... «Da parte di un bianco è fondamentale parlare di queste cose, capire come essere buon alleato. Dire Black Lives Matter non può solo essere di moda. Né vuol dire che i neri siano più importanti dei bianchi, ma che tutti siamo uguali». “Regina” cosa lo ha ispirato? «Una storia d'amore di quel momento. L'ho scritta un paio di anni fa con la mia band (pianista palermitano, Claudio Guarcello; Emanuele Triglia, il bassista, è di Reggio Calabria e Davide Favarese di Sapri; il chitarrista è il barese Alessandro Donadei), una band super meridionale. Lei, una regina sovrastata dai drammi della vita. Cercavamo casa, facevamo progetti... e io ho messo tutto dentro ad una canzone. Quando ho finito di scriverla (in un'ora!) non smettevamo di ascoltarla e... Spacca, ci siamo detti, tra una pacca sulle spalle e l'altra. Ho avuto una visione: raga, ma vi immaginate portarla a Sanremo? È un pezzo italiano ma con tutte le nostre influenze, il tradizionale non tradizionale. Me lo immaginavo con gli archi...». E finalmente porterai la tua “Regina” sul palco del teatro del Casinò. «Dopo che era stata rifiutata da chi mi gestiva allora perché troppo complicata, raffinata. Ma essere umani complessi ci arricchisce, semplificare peggiora. Questa è la prova che la legge di attrazione esiste!».