La riflessione che vogliamo condividere riguarda la mole di serie che in questi mesi sono in circolazione sui vari network, anche in streaming, o nelle pay tv e sulle differenze in termini di qualità e costi e anche di attenzione che la stampa riserva a tali produzioni. In questi mesi su Netflix sono andate in onda, solo per fare qualche titolo, serie come Lupin, Bridgerton, La regina di scacchi, tutte di altissimo livello, con cast, costumi, ambientazioni di assoluto pregio, sceneggiature intriganti, riprese che non hanno nulla da invidiare alle produzioni cinematografiche. La loro qualità fa sì che possano godere di un pubblico internazionale. Bridgerton, per esempio, che è stata vista da 63 milioni di telespettatori in tutto il mondo, non disdegna di adattare in stile classico alcune delle più note canzoni pop. Lo stesso dicasi per Sky, la cui ultima serie, The Undoing, viene menzionata anche per l’eleganza e raffinatezza degli outfit della protagonista Nicole Kidman. Diversamente da queste reti la Rai, a parte alcune grandi produzioni come i Medici o il Commissario Montalbano, distribuito in 20 Paesi, anche, certamente, grazie al successo dei libri di Camilleri tradotti in 120 lingue, e Mediaset hanno impostato la loro politica su serie casalinghe, fiction che razzolano su temi limitati al pubblico di casa, senza aprirsi ad un mercato diverso da quello italiano. Se prendiamo Che Dio ci aiuti, è arrivato alla sesta serie, rimescolando sempre i soliti argomenti con variazioni di una trama che gira attorno a se stessa e quando Mediaset parla di una seconda edizione dei Fratelli Caputo, con tutto il rispetto, ci sentiamo abbandonati dalla tv. Ovviamente non vogliamo paragonare produzioni così casalinghe, magari ben fatte, ma alla fine asfittiche, con i colossi internazionali, ma a nostro avviso l’appiattimento della serialità italiana della tv in chiaro, e la contemporanea offerta di un panorama di fiction eccellenti, sta portando ad una disaffezione del pubblico televisivo generalista. E poiché siamo convinti delle potenzialità della Rai e del fatto che, preventivando opere di grande respiro con collaborazioni e distribuzioni internazionali, possano comunque raccogliersi quei capitali che offrono le possibilità di realizzazioni di elevato livello, non riusciamo a comprendere, in un momento di tale globalizzazione, come la Rai si stia fossilizzando. Certo, poi si parla della nave da crociera per rendere Sanremo asettico e sterilizzato, ma, a parte le 5 serate, servirà, poi, solo a ispirare la tv russa per una nuova parodia...