Venerdì 27 Dicembre 2024

"Il pane perduto": la "lettera a Dio" di Edith Bruck, sopravvissuta

Edith Bruck, "Il pane perduto" (La nave di Teseo, pagine 128, euro 16)

«Scrivo a Te, che non leggerai mai i miei scarabocchi, non risponderai mai alle mie domande, ai pensieri di una vita». Comincia così “Lettera a Dio”, l’ultimo capitolo de “Il pane perduto”, il nuovo libro di Edith Bruck (La Nave di Teseo). Ottant’anni dopo la prima lettera scritta da bambina, scampata agli orrori dei campi di sterminio di Dachau, Auschwitz e Bergen-Belsen, Bruck formula nuove, spiazzanti domande con la sua consueta prosa asciutta, pungente e sobria. Proprio come Primo Levi, Edith Bruck – la sopravvissuta di origini ebree che dopo anni di pellegrinaggio è approdata in Italia, adottandone la lingua – ha scelto di scrivere romanzi e poesie (ricordiamo il suo esordio autobiografico, “Chi ti ama così” nel 1959) affinché non fosse più possibile voltarsi dall’altra parte dinnanzi all’orrore della Shoah. Sono moltissime le testimonianze e i racconti di ciò che accadde all’ascesa del nazifascismo ma in occasione della Giornata della Memoria, il nuovo libro della Bruck è una lettura quasi obbligata. «Per me ogni giorno è il Giorno della Memoria – scrive – è quotidiano, come il pane». E riguardo alla fede, continua, «il credo significa non fare distinzione tra esseri umani ed essere umani, è essere profondamenti onesti e comportarsi moralmente bene». Dopo essere miracolosamente sopravvissuta grazie all’aiuto della sorella maggiore, Judith, Edith ricorda l’orrore di trovarsi in un mondo sconvolto, fra macerie e odio. Ecco il senso di colpa dei sopravvissuti, ecco lo spaesamento che può raccontare solo chi ha vissuto sulla propria pelle il punto più alto della crudeltà umana, quella soluzione finale che voleva lo sterminio di tutti gli ebrei. Bruck rivive il tentativo d’inventarsi una vita nuova nel cuore degli anni Cinquanta e poi l’incontro fondamentale col marito, il regista Nelo Risi che avrebbe tratto un film dal suo volume di racconti “Andremo in città” del 1962. Ma il nucleo pulsante del libro scritto da questa donna fortissima – nata nel 1931 in un piccolo villaggio ungherese e deportata a soli tredici anni – sono le riflessioni sul nostro tempo, i timori verso l’ondata xenofoba che non si arresta, l’ignoranza come mezzo di propaganda per l’odio contro gli ebrei, ancora una volta il capro espiatorio perfetto, sino a quella lettera a Dio, lasciando uno spiraglio alla speranza, senza mai celare i propri dubbi sul significato ultimo delle preghiere contrapposte al dito di Mengele – l’ “angelo della morte” – che poteva disporre liberamente dei suoi prigionieri, infliggendo loro qualsiasi pena. Oggi leggere Edith Bruck è un atto d’amore verso la vita, un gesto di rispetto per tutti coloro che sono stati travolti dalla follia nazifascista e non possiamo permetterci di dimenticare.

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