Proprio oggi che sembriamo tutti infilati nostro malgrado dentro un romanzo di Don DeLillo, non aspettavamo che questo, un nuovo romanzo di Don DeLillo con cui cercare semplicemente di capirci qualche cosa di questa nostra benedetta epoca, con cui provare a esplorare la “foresta di sera” che è diventata la nostra esistenza. Nel suo nuovo romanzo, “Il silenzio” (tradotto da Federica Aceto per Einaudi), DeLillo s’immagina un tempo che sta per finire, un tempo ammalato. Non è un caso che l’autore di “Rumore bianco” scelga di ambientare la sua storia in un futuro prossimo, subito dopo la pandemia che stiamo attraversando, nel 2022 per l’appunto.
Einstein, Heisenberg, Gödel. La relatività, l’incertezza, l’incompiutezza. È di questo che racconta “Il silenzio”. Partendo – come se rispettasse una dichiarazione programmatica – dalle celebri parole di Einstein sul futuro dell’umanità: «Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta guerra mondiale si combatterà con pietre e bastoni». Ecco, cosa succederebbe se d’improvviso si spegnesse tutto, smartphone, computer, televisione, internet, tutto ciò di cui – soprattutto negli ultimi anni, seguendo un cambiamento ritmato da una velocità vertiginosa – non riusciamo più a fare a meno e da cui ormai dipende la nostra vita di ogni giorno? La risposta è semplice e la pronunzia uno dei protagonisti del racconto lungo di DeLillo: «Quelli che ci rimettono alla fine siamo noi. Hanno innescato un’apocalisse selettiva della rete».
Così, mentre Jim e Tess, la moglie, stanno rientrando da Parigi, dopo una breve vacanza europea, con destinazione New York, l’aereo su cui viaggiano è costretto a un atterraggio di emergenza. Il perché non si sa, ma quel che è certo è che la tecnologia improvvisamente ha cessato di esistere. A Manhattan, nell’East Side, ci sono tre amici che li stanno aspettando. La loro intenzione era quella di vedere tutti insieme in tv il Super Bowl. Ma la cosa non sarà realizzabile così facilmente, dal momento che quello che stanno vivendo (e subendo) tutti è una sorta di blackout globale. Per vie traverse, dopo un passaggio in ospedale – giacché Jim è rimasto leggermente ferito alla testa – i cinque protagonisti della storia si ritroveranno a casa di Max e Diane, insieme col giovane Martin, professore di fisica ex allievo di lei. «Pensa ai diversi milioni di schermi neri. Cerca di immaginare i telefoni fuori uso. Cosa succede alle persone che vivono dentro il loro telefono?».
Fin qui la premessa di questa angosciante narrazione che ha il potere di incalzare il lettore con un tono insieme profetico e spiazzante. Una narrazione che da un lato ha il ritmo di una fredda ricostruzione realistica, dall’altro si abbandona a una cadenza distopica e da incubo. Il piccolo gruppo di persone, infatti, che si interroga, discute, si abbandona allo sconforto e prova a interpretare il susseguirsi incalzante degli avvenimenti, si ritrova all’interno di un appartamento newyorkese a condividere un comprensibile smarrimento.
Il giovane Martin è il più visionario dei cinque, quello che cerca in tutti i modi di darsi delle spiegazioni, anche estreme: «E se non fossimo davvero quello che crediamo di essere? E se il mondo che conosciamo venisse sottoposto a un nuovo assetto davanti ai nostri occhi mentre stiamo fermi a guardare, oppure mentre stiamo seduti a parlare?». A poco a poco, tutti si rendono conto che più che di un “normale” blackout quello in cui sono finiti è un vero e proprio black hole, un buco nero che minaccia – se non l’ha già fatto – di inghiottire le loro esistenze. Tutto è diventato “Silenzio”, tutto è stato fagocitato da un insopportabile e amorfo “Silenzio”.
Certo, forse avrebbero potuto o dovuto prevederlo, pensa Martin. Avrebbero dovuto intuire, in tempo, che prima o poi sarebbero stati trascinati anche loro, come tutti gli altri, nella poltiglia della “sospensione suprema”. Siamo noi, ragiona Martin, «quelli che se ne stanno seduti e perplessi, abbandonati dalla scienza, dalla tecnologia, dalla logica comune».
Ancora una volta, è DeLillo il vero visionario che dà voce a un’umanità smarrita, un’umanità che non sa far altro che aspettare invano di ricevere ordini da se stessa. «La vita a volte può diventare così interessante che ci dimentichiamo di avere paura».
E adesso? Tutti i protagonisti del romanzo breve di DeLillo se lo chiedono davanti a noi senza più pudore: «Adesso questi tossicodipendenti digitali non possono fare niente, i cellulari sono fuori uso, ogni cosa è fuori uso, completamente totalmente fuori uso». Nessuno di loro è capace di dare qualche risposta, anche perché è quasi impossibile fornire qualche ricostruzione sensata degli accadimenti: «Di qualunque cosa si tratti, quello che è successo ha messo fuori uso la nostra tecnologia. La parola stessa mi pare obsoleta, persa nello spazio». Grande accusata è «l’intelligenza artificiale che tradisce ciò che siamo e pensiamo».
A ottantaquattro anni DeLillo – animato da un furore immaginativo e interpretativo dell’epoca che stiamo attraversando – ci regala un’opera concisa e affilata come la lama di un rasoio. Il suo è un libro sconvolgente che, per dirla con le parole di Norman Mailer, ci costringe «a guardare in faccia questa realtà intollerabile». In un continuo oscillare fra umanesimo e scientismo, DeLillo compie il prodigio di mettere il lettore davanti a uno specchio, fino a che questo non-innocente lettore non comprende che il vero protagonista del “Silenzio” è lui stesso: «Non ha capito niente. Sta seduto davanti al televisore con le mani intrecciate sulla nuca, i gomiti all’infuori. E poi fissa lo schermo nero».
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