Nel momento in cui il rover Perservance ha toccato la superficie del pianeta Marte in diretta mondiale, tutti abbiamo avuto la sensazione di varcare una frontiera. L’ammartaggio è schizzato in vetta alle timeline social, con la condivisione della diretta streaming, dei momenti salienti e infine, persino con i meme, inglobando questo primo traguardo con il linguaggio e il metalinguaggio social. Ma non è tutto. Difatti, il primo e concreto passo nella scoperta di Marte segna anche la conquista, la realizzazione, di quel sogno che la fantascienza ha sempre vaticinato. Se il primo step era la Luna – e il suo lato oscuro (ricordate i Pink Floyd?) – ora tocca a Marte. Ma come spesso accade, la scienza segue le briciole lasciate dalle menti visionarie degli scrittori che hanno acceso la nostra fantasia. Cominciamo questo viaggio fra le pagine dei libri, muovendoci fra grandi classici e novità in libreria. Provocatorio, surreale e brillante, Come vivremo su Marte (Il Saggiatore, traduzione di Francesca Mastruzzo e Alessandro Vestoli) della divulgatrice scientifica Mary Roach. Titolo ammiccante per un libro davvero piacevole in cui l’autrice americana ipotizza uno scenario di vita futuribile, consapevoli di dover accettare una serie di compromessi. Dopo millenni sulla Terra, come reagirà il nostro corpo in un’altra atmosfera? Una guida per la sopravvivenza nello spazio, un'esplorazione di ciò che significa essere umani, con i nostri limiti, le nostre fragilità biologiche e culturali. I pionieri dovranno muoversi senza aria e ossigeno, con tute ingombranti e la potenza del cosmo tutto attorno, a spasso su una superficie fortemente ossidata, inospitale, forse persino velenosa. Però che spettacolo, no? Di sopravvivenza e fiction scrive Andy Weir in Il Sopravvissuto. The Martian (Newton Compton, traduzione di Tullio Dobner), da cui è stato tratto l’omonimo film con Matt Damon, diretto e prodotto da Ridley Scott. Il punto forte del romanzo è proprio la sua accuratezza scientifica, narrando di Mark Watney, uno dei primi astronauti a mettere piede su Marte. Dopo il primo momento di gloria dell’approdo sul pianeta rosso, una tempesta distrugge la spedizione scientifica e Mark viene creduto morto, abbandonato dai pochi superstiti. E invece, in quel pianeta inospitale, facendo affidamento all’istinto e alle sue competenze, riuscirà a coltivare delle patate, razionando il cibo, andando alla ricerca di un modulo di trasmissione, superando una difficoltà dopo l’altra. A ben vedere, Weir ha scritto la versione marziana di Robinson Crusoe. Ma se parliamo di visioni e racconti distopici, torniamo indietro nel tempo di un paio di decadi per recuperare le opere di due grandissimi autori: William Gibson e Philip K. Dick. Quest’ultimo, autore iper-prolifico, tormentato quanto geniale (per conoscerlo meglio, segnaliamo la biografia di Emmanuel Carrère, “Io sono vivo, voi siete morti” edita da Adelphi) scrisse di simulacri e realtà alternative. Fra i suoi libri Le tre stimmate di Palmer Eldritch (Sellerio, 1965) – in cui agli sventurati coloni spediti su Marte vengono inoculate potenti droghe per facilitarne le missioni suicide – , la celebre e ardita Trilogia di Valis (Mondadori, 1981) – dove gli alieni diventano quasi esseri messianici – e infine Noi marziani (Fanucci, tr. Carlo Pagetti). Scritto nel 1962, Dick vi ritrae la corruzione del sogno americano in chiave stellare. Marte è un pianeta ostile, dimenticato e disabitato, teatro del contrabbando interstellare e della più bieca speculazione terrestre. Su Marte la vita è dura, scrive Dick, proprio come sulla Terra, e non c’è spazio per la gloria. Dal suo “Anche gli androidi sognano pecore elettriche” (1971, Fanucci), Ridley Scott avrebbe tratto il celeberrimo “Blade Runner”, aprendo le porte ai suoi successivi lavori, “Alien”, Prometheus” e la serie tv “Raised by Wolwes” (in onda su Sky Atlantic) seguendo la linea di una fantascienza pessimista, in cui gli istinti brutali della sopravvivenza sopraffanno i sogni di conquista scientifica e gli alti ideali di civilizzazione, richiamando le tesi di Hobbes della legge di natura. Gibson apre la ricchissima antologia Cyberpunk. Antologia assoluta, una primizia edita solo per il mercato italiano (Mondadori, traduzione di Benedetta Tavani e Lia Tomasich), con la postfazione di Francesco Guglieri, editor Einaudi. Gibson è il profeta del cyberpunk e la sua trilogia dello Sprawl inizia con il celebre “Neuromante” (scritto nel 1984 e vincitore del premio Nebula e del premio Philip K. Dick). Considerata una corrente derivativa della fantascienza americana, profetizza una visione pessimistica, puntando l’attenzione sul connubio uomo-macchina, l’interconnessione fra reale e virtuale, sentimenti e ragione, percezione e rappresentazione della realtà. Stile immediato, linguaggio visionario ma con un bagaglio tecnico non indifferente, il cyberpunk ha una connotazione sociale molto forte. Il futuro arriva e ci travolge, sulla Terra e in tutte le sue colonie. E c’è ancora spazio per un grande classico come Cronache marziane di Ray Bradbury. Scritto nel 1950, torna in libreria nella nuova traduzione di Veronica Raimo. Una raccolta di ventotto racconti che ruota attorno al tentativo di colonizzazione del pianeta rosso. Capolavoro della fantascienza, Bradbury vi racconta la disillusione del genere umano, costretto a tornare sulla Terra in seguito a conflitti nucleari. Ma perché mai Marte ci fa così paura? È forse il sacro terrore dell’ignoto? Lo scopriremo, si spera, grazie alla Perseverance.