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Alessandro Quasimodo ricorda il padre e il suo forte legame con la Sicilia

«Furono importanti gli amici della brigata a Tindari»

Alessandro Quasimodo, cosa ne pensi della nuova edizione di “Salvatore Quasimodo. Tutte le poesie”, curata da Carlangelo Mauri e della originale copertina con un fico d’India, forse la rappresentazione della sua personalità?
«Questo accurato lavoro di Mauri non è stato fatto neanche da un Meridiano. È un baobab approfondito, si legge come un romanzo e ha il costo di un Oscar. La foto della copertina descrive mio padre, che era duro fuori e tenero dentro, bisognava fare attenzione a non spinarsi, ma quando si arrivava all’interno si trova la dolcezza del frutto».

A chi era legato per particolari affinità?

«Non era facile avvicinarsi a lui, era diffidente, ma non con i familiari e gli amici più stretti, come Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Domenico Cantatore, La Pira e Pugliatti. Legava di più con artisti più che con letterati. Ha scritto recensioni e critiche, come per il catalogo della grande mostra di Mosca di Manzù o i pezzi su Fontana. I suoi importanti rapporti di arte e di amicizia sono documentati anche dai carteggi… Le lettere sono tantissime, più di tremila, ora catalogate per la Biblioteca Nazionale. Si tratta di lettere autografe di grandissimi personaggi come Paolo VI, Pound, Cummings, Ginzburg, Aragòn, Neruda, Manzù, Vittorini, La Pira».

Puoi raccontarci invece di qualche rapporto problematico che ebbe il poeta? Con Montale c’era ruggine…

«Da giovani erano molto amici, lo testimoniano alcune lettere, poi il rapporto si è deteriorato man mano che la fama di Quasimodo cresceva; quando ha pubblicato con Mondadori “Ed è subito sera”, Montale covò rancore, espresso nel tremendo articolo del Corriere a cui Quasimodo rispose con la poesia “Ad un poeta nemico”. Io stesso fui protagonista di uno spiacevole episodio: ero in un palco alla Scala per l’opera quando entrò Montale, accompagnato dalla “mosca”, la Tanzi, che voleva salutarmi, io tesi loro la mano e Montale indietreggiò facendo un gestaccio. Dopo tanto gelo si rividero per i festeggiamenti del compleanno a Roma di Ungaretti che invitò proprio Quasimodo a tenere il discorso ufficiale. I due si trovarono nello stesso vagone sul treno, all’inizio ci fu silenzio, Montale poi disse: “meno male che questa gatta da pelare del discorso ce l’hai tu”, ma Quasimodo rispose che era contento di celebrare Ungaretti. Poi mio padre, che non riusciva a tenere rancore, chiese a Montale “Abbracciamoci, tu sai perché”. Era il febbraio del ’68, dopo pochi mesi, morì».

Parliamo invece degli amici messinesi…

«Furono importanti gli amici della brigata della famosa poesia Vento a Tindari, il vento della memoria che lo raggiungeva in terra lontana. Furono preziosi anche durante il suo soggiorno a Reggio Calabria dove lavorava, non sperava altro che prendere il ferry boat per Messina e ritrovare Vann’Antò, Pugliatti, Natoli e fare con loro quelle gite memorabili. A Messina è legato un fatto molto bello. C’è stato un periodo in cui venivo spesso perché era stata ricoverata mia madre in seguito ad un incidente stradale, fu lì per tre mesi nella clinica Cristo Re; io in quei giorni, mi misi sulle tracce di Quasimodo a Messina, consultavo biblioteche e cercai i familiari di La Pira, chiamai lo zio Luigi Occhipinti che fu felicissimo di sentirmi e mi disse “Devo avere un quaderno di tuo padre, sono sicuro che Giorgio l’ha lasciato qui.” Aveva trovato le composizioni di “Bacia la soglia della tua casa”, pronte per la pubblicazione, scritte in bella, con l’indice, il titolo, ne feci la fotocopia. Il Natale successivo Luigi mi chiama “Sai cosa ho pensato, questo quaderno devi tornare a te”. Me lo fece recapitare da una nipote che studiava a Firenze, ci saremmo incontrati alla stazione, lei avrebbe indossato, per farsi riconoscere, un foulard rosso. Fu così che abbiamo recuperato quel testo, se lui lo avesse venduto avrebbe preso un sacco soldi, fu un bel gesto.

A Messina poi sei tornato per tante iniziative quasimodiane.

«Si, a Messina abbiamo fatto molti progetti con Mario D’Agostino alla Provincia e con la professoressa Giovanna Musolino in scuole come l’Albino Luciani di cui ricordo la messa scena di un’opera di Pirandello; gli studenti furono bravi, andò così bene che poi replicammo lo spettacolo al teatro Romolo Valli!

Altri ricordi siciliani…

«Con mio padre e mia madre venni una sola volta in Sicilia, a Roccalumera, la sera scendevano in spiaggia a leggere e mamma faceva “lezione” di movimenti alle tre sorelle Sturiale, era una combriccola molto simpatica. Lì c’era la casa di famiglia dove viveva anche la zia Tanina che rimase nubile per assistere la madre che morì a 100 anni. Sono legato a Siracusa dove sono stato durante gli anni delle medie; a Milano non mi trovavo bene, avevo sempre un po’ di febbre, gli zii Vittorini proposero a mio padre di farmi scendere, anche io se non ho legato con la zia Rosa, moglie di Elio, che era una persona cattiva. D’estate amavo fare i bagni e d’inverno frequentavo le scuole, mi applicavo, avevo già una cultura vasta, mamma mi leggeva sempre la Divina Commedia. Una notte, a 4 anni, mi misi a piangere dicendole “Sono preoccupato che Paolo e Francesca possano essere messi nello stesso girone del marito, che li può ammazzare!” Con lei avevo un’intesa particolare, mi contagiò l’ideale della bellezza».

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