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Storie giapponesi, o forse no, per bambini di ogni dove: parla la scrittrice Laura Imai Messina

Dopo il best seller "Quel che affidiamo al vento", un'affascinante immersione nel mondo delle fiabe

Un vortice di forme e colori: una delle illustrazioni di Philip Giordano

C’era una volta, in una terra lontana, chiamata Yamato, lì dove vive Daruma, un bambino tondo e liscio come un’anguria che imparerà una grande lezione di vita… Non importa quanti anni abbiate, non importa che siate giovani o anziani, per volare sulle ali della fantasia basta affidarsi al potere delle parole. Lo sa bene la scrittrice Laura Imai Messina che da sedici anni vive in una cittadina poco distante da Tokyo. Abbiamo imparato a conoscerla un libro dopo l’altro sino al recente bestseller “Quel che affidiamo al vento” (Piemme), seguito da “Tokyo tutto l’anno” (Einaudi), e adesso eccola alle prese con il suo primo libro per ragazzi in cui si immerge nel mondo delle fiabe tradizionali giapponesi.

«Ma anziché essere un tramite – dice via Zoom, collegata dal Giappone in questa intervista – ho scelto di reinterpretarle e rivederle, creando un mondo di personaggi colorati e divertenti».
Fiabe senza la classica morale ma con un insegnamento, in cui si intrecciano le tradizioni nipponiche e si celebra il valore dell’amicizia, la ricerca della felicità e l’importanza di non arrendersi mai, di non recedere dinnanzi alle difficoltà incontrate sul proprio percorso. Il risultato è “Goro Goro. La pesca della stella, il viaggio di Daruma e altre storie giapponesi” (Salani) impreziosito dalle coloratissime illustrazioni di Philip Giordano.

Laura, cosa significa “goro goro”?
«“Fare goro goro” significa allora non fare nulla, rilassarsi, godersi il tempo che passa in completo relax. Ma non solo. Goro goro è qualcosa di grande e pesante che rotola via, uno stomaco vuoto che protesta, il rimbombo del tuono, le fusa del gatto. Goro goro era, insomma, il titolo perfetto per intendere la fantasia. Tutto ciò è possibile perché il giapponese fa tesoro dell'onomatopea, come fosse un linguaggio nel linguaggio, e goro goro significa, "tempo passato a godersi il tempo che passa”».

Un po’ come il dolce far niente?
«Ecco, proprio così».

Giochi di maiuscole, rime e assonanze. Si è divertita?
«Da pazzi. Sono partita da testi autorevoli che studiano le onomatopee perché tutti i suoni hanno un significato preciso, mescolando elementi giapponesi e italiani. Ad esempio, c’è Uso-tsukino, il bambino che amava raccontare bugie: “uso” significa bugia, “usotsuko”, invece, vuol dire mentire. Il suffisso -ino, infine, è italiano. C’è una struttura di ripetizioni, mi sono allenata con i miei due figli, la ritualità delle storie lette e rilette è molto importante per noi. E leggendo, entrando in quel mondo di draghi, volpi e demoni, vien voglia di scrivere».

Le fiabe che racconta si intersecano l’un l’altra?
«Non solo. Tradizionalmente le fiabe giapponesi partono da un punto e vi fanno ritorno, come se non ci fosse una trasformazione. Ma non ho rispettato questo diktat, anzi volevo creare un’esperienza di lettura stratificata e le ho riviste, ribaltando l’atmosfera cupa per poter parlare ai bambini di oggi».

Partendo proprio dalla storia di Daruma, c’è una lezione da imparare?
«In queste fiabe ho voluto inserire una morale, un insegnamento, e così ciascuna avventura ha un forte significato: il Daruma è elemento molto rappresentativo della tradizione nipponica e si collega ad un detto molto bello, “cadi sette volte, rialzati otto”. I Daruma sono guerrieri senza gambe, non cadono mai. Sono portatori di grandi desideri, hanno le orbite bianche e tradizionalmente, quando si esprime un desiderio, gli si colora l’occhio sinistro. E una volta esaudito il desiderio, si colorerà anche il destro».

Laura, ci sono nuovi progetti in vista?
«Sì! C’è un nuovo romanzo in uscita a maggio per Einaudi. Si intitola “La vite nascoste dei colori” e riguarderà l’uso e il significato dei colori nella tradizione nipponica e i riti di morte nella religione buddista e scintoista».

L’Italia è da sempre un paese esterofilo, lei come si spiega tanta attenzione al mondo del Sol Levante?
«Sento l’entusiasmo dei lettori, ne sono fiera. Nel mio caso utilizzo la lente della cultura per parlare della nostra, come una lente per guardare la vita quotidiana».

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