«Tutte le dittature si assomigliano, ogni democrazia traballa a modo suo». È questo uno dei mantra che, nel riecheggiare un celeberrimo incipit, recita a se stesso il dittatore, protagonista e voce narrante di “Memorie di un dittatore” (Giulio Perrone editore), romanzo (appena uscito candidato allo Strega nella prima tornata) di Paolo Zardi, ingegnere padovano con la passione della scrittura, già autore di “Il giorno che diventammo umani”, “La felicità esiste”, “Il Signor Bovary”. Ma sicuramente tutti i dittatori sono infelici, come quello cui Zardi nega la dignità del nome, perché quel che lo scrittore ha voluto mettere in scena è la parabola, metafora geometrica che più si adatta ai dittatori di tutti i tempi: sogno del potere, conquista del potere, desiderio di un potere sempre più illimitato e quindi la caduta, con qualche rammarico, come avvenne a Hitler e Stalin, di non essere stato abbastanza cattivo. Li riassume tutti i topoi dei dittatori di ogni tempo il dittatore di Zardi, in esilio su un’isola sperduta in mezzo all’oceano, prigioniero in una grande villa dove vaga inquieto nelle sue giornate oziose, tra ricordi e fantasmi del passato e un presente misero. E se veloce è stato il percorso di scrittura, lunga è stata la gestazione, giacché la storia era nella mente di Zardi da venticinque anni circa, da quando la figura dell’imperatore Eliogabalo fece spuntare in lui una sorta di scintilla, ravvivata da letture, classiche e moderne, su biografie di dittatori. Una bella presentazione in streaming del libro è stata a cura di Nadia Terranova e Pierluigi Battista. «Un libro di splendida letteratura, un romanzo composito, con una voce narrante che – ha detto la Terranova – trascina dentro di noi il personaggio di cui scopriamo a poco a poco atteggiamenti, dal mitomane al brutale, all’inizio spiazzanti. Pochi scrittori possono permettersi di mantenere un personaggio esplicitamente odioso, che nel punto più basso della sua esistenza, man mano che si procede nella lettura, suscita un sentimento ambivalente: mentre si riconosce quel che ha meritato, nello stesso tempo si prova ansia per ciò che pensiamo possa succedergli». Dunque un personaggio volutamente sgradevole, «a tratti velleitario, al limite del grottesco – ha osservato Battista – che aspira a essere Napoleone, che si esprime con parole d’ordine, con luoghi comuni e assomiglia piuttosto a certi personaggi dei nostri tempi. Sembra quasi che più che esserlo stato, un dittatore, abbia aspirato a esserlo...». Ma è stata proprio questa la sfida narrativa di Zardi, non solo per la scelta, sempre rischiosa, della prima persona – come ha detto lo scrittore – ma anche per aver costruito un personaggio che usa una serie di strategie retoriche con lo scopo di tirare dalla sua parte chi legge. «Un narratore mistificatore, una sorta di frankestein composto da vari pezzi di dittatori famosi vari», ha detto Zardi. E se Hitler è quello che gli assomiglia di più, o, almeno, è quello al quale ambisce di assomigliare, «lui è una delle tante varianti italiche di chi senza avere tante idee si ritrova a fare il dittatore». «Gli ingredienti per una bella storia ci sono tutti, compresi gli scrittori e le scritture che si insinuano nella strana lingua del dittatore» ha detto la Terranova, e Zardi, tra gli “ingredienti” ne ha indicati quattro: l’amore e il suo opposto, cioè la morte, i soldi (tema caro a Dickens) e il potere. Tante, allora, sono le suggestioni presenti in questo libro colto (un libro sui libri, ha detto Nadia Terranova) dalla scrittura «lavorata ma non barocca» – ha notato Battista –, tante le citazioni di libri e di letture e i tributi alla grande letteratura, dalla “Tempesta” scespiriana al discorso sallustiano di Catilina ai suoi soldati, dal mito rousseauiano del buon selvaggio al Robinson Crusoe di Defoe.