Venerdì 27 Dicembre 2024

Un “delitto d’inverno” nella dolce e dura Irlanda

Corre l’anno 1957. È pieno inverno nella contea di Wexford – nel cuore dell’Irlanda – e a Ballyglass House, la residenza degli Osborne, una famiglia protestante molto in vista, viene trovato il cadavere di un prete cattolico, padre Thomas Lawless, ucciso da una pugnalata. Ecco l’incipit di “Delitto d’inverno” (Guanda), il nuovo romanzo dello scrittore irlandese John Banville, l’autore di “Un’educazione amorosa” e “L’invenzione del passato” (tutti editi da Guanda), già vincitore del Premio Principe delle Asturie per la Letteratura e del Premio Raymond Chandler. Si tratta di un fatto di sangue che, se gestito non felicemente, è destinato a scatenare un putiferio; ecco perché l’arcivescovo McQuaid sta facendo pressioni per farlo cadere fra le spire della burocrazia, insabbiando i fatti. Mentre il morso del gelo sembra poter fermare il tempo spargendo candore sul piccolo borgo irlandese, direttamente dalla capitale giunge l’ispettore Strafford – anch’egli di famiglia protestante – trovandosi dinnanzi un ambiente assai ostile, che gli oppone quasi una recita in cui tutti, a partire dal padrone di casa, sembrano indossare una maschera, davanti a un crimine avvolto dal mistero. Firma di primo piano nella narrativa mondiale, Banville ha scritto polizieschi avvincenti con il nom de plume Benjamin Black, ma con questo libro pone il primo tassello di un giallo seriale, riportando in scena l’ispettore StJohn Strafford (già visto ne “Le ospiti segrete”, ambientato nel 1940 e pubblicato lo scorso anno in Italia). Ora trentacinquenne, alto e magro, «allampanato era la parola giusta», Strafford ha un viso dai tratti spigolosi e un distacco aristocratico che lo rende abbastanza inviso ai colleghi. Al suo fianco un altro personaggio fuori dal coro, Ambie Jenkins, per una indagine in cui è evidente che tutti hanno qualcosa da nascondere. Proprio come la tenuta vittoriana di Ballyglass, un tempo magnifica e oggi decadente, nonostante le pretese del padrone di casa, il colonnello Osborne, un vedovo dai modi altezzosi e caduto in disgrazia. Banville imbastisce una trama che scorre fluida dalla prima all’ultima pagina, evocando la terra d’Irlanda in modo tenero e suadente, grazie alla forza delle metafore (nella traduzione accurata di Irene Abigail Piccinini), con i fiocchi di «neve che brillavano come zucchero semolato». Grazie ad un intermezzo, sappiamo che padre Lawless pensava di vivere in «mondo segreto, incantato, in cui tutto è proibito eppure talvolta, in qualche rara e magica occasione, tutto è permesso». Banville muove le sue pedine – il mistero si dipana – e ci presenta tutti gli attori in scena, rivelandone la vera natura, fra segreti, eccentricità e debolezze in cui l’autore può facilmente rispecchiarsi. Proprio come in una partita a Cluedo, Banville pone un cadavere in biblioteca mentre il Natale incombe ma il vero punto di forza del libro si rivela l’accurata messa in scena della commedia sociale: «Il contratto sociale è un documento fragile», dice l'arcivescovo, giustificando l’ostracismo verso Strafford e così lo scontro fra cattolici e protestanti diventa l’attore principale.

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