Il mio stato d’animo era diviso, tra la morte fuori (sono di Bergamo dove si è pagato un prezzo alto alla pandemia) e la gioia della vita dentro, per la nascita di mio figlio». Questi i sentimenti dell’attore Alessio Boni nel momento in cui decide di affidare alla scrittura pensieri, stati d’animo ed esperienze autentiche di vita. “Mordere la nebbia” (Solferino Libri), in libreria, parte infatti dall’autobiografia, come generosa e sincera condivisione, per approdare ad uno sguardo sul mondo che amplia il concetto di crescita e formazione oltre i confini professionali, includendo qualsiasi esperienza sul campo che contribuisca all’obiettivo finale del «diventare uomini». Il volume, denso di personaggi e racconti autentici, contiene anche preziosi insegnamenti legati ad esperienze di vita “indirette”: quelle inerenti le vicende di esseri umani, in situazioni estreme di indigenza o di guerra, incontratati dall’attore nei Paesi visitati come testimonial delle Ong Unicef e Save the Children; ma anche modelli di vita tratti dai personaggi intrepretati in teatro o in tv, alcuni dei quali vengono citati nel volume. Lo scritto, concepito durante il lockdown, da quali sentimenti prende forma? «Mio figlio era nato da poco. Avevo questo bimbo tra le braccia, e ho avuto dei flashback sulla mia infanzia: ho rivisto me da piccolo e ho sentito nostalgia di altri momenti del passato. Mi sono così ritrovato con la mente a bordo del Lago d’Iseo con una Vespa 50, sotto un salice piangente, mentre guardavo una coltre di nebbia all’orizzonte, e pensavo: non può essere così la vita. Non mi piaceva fare ragioneria serale, detestavo fare il piastrellista, non riuscivo ad accettare la mentalità del paese. Avevo 15-16 anni e mi dissi che volevo mordere quella nebbia e capire cosa ci fosse oltre l’immensa coltre bianca. Così presi metaforicamente questa Vespa e, varcato il ponte, non tornai più indietro». La nascita di tuo figlio ha innescato quindi il desiderio di condivisione autobiografica? «Certamente, ed è stato un bello spunto, perché uno dei viaggi più belli della mia esistenza è quello con lui. Ho avuto la sensazione che mio figlio ponesse delle domande con i suoi occhioni, a cui avrei dovuto dare le risposte. E così è partita tutta la sequela di racconti del libro, in cui ho cercato di mettere più snodi umani possibili, al di là della mia professione; perché la vita è l’arte degli incontri e un incontro può farti cambiare sentiero, se hai la capacità di recepirlo nel modo giusto. Il libro è tutto così, tra autobiografia, incontri e pensieri. Ho fatto una specie di autoanalisi, e non ci sono personaggi inventati. Sono io e mi sono autoanalizzato». Un attore ha il privilegio di “vivere tante vite”, quanti sono i grandi personaggi che interpreta. Tu citi Amleto, Caravaggio, Ulisse... Quale hai sentito più vicino alla tua sensibilità umana? «Vorrei assumere un riferimento più moderno. Il personaggio che mi rappresenta molto e ho capito profondamente per la fragilità, la sensibilità e l’intelligenza superiore alla media è Matteo Carati de “La meglio gioventù”. Quel personaggio mi ha toccato le viscere, con tutta la vita vissuta che c’era in lui. Non era un Amleto che già Shakespeare ti dice com’è, o Caravaggio che si svela attraverso la sua stessa vita. Era completamente inventato dalla penna di Rulli e Petraglia, creato su di me, e l’ho dovuto forgiare assieme a Marco Tullio Giordana. Quindi c’era molta della vita mia in quel personaggio». Sei in tv con la fiction “La compagnia del cigno 2”, che si concluderà stasera su Rai1. Il tuo personaggio, Luca Marioni, è un maestro di musica severo ed esigente. Secondo te la formazione artistica ha bisogno di rigore? «I ragazzi hanno bisogno dei “no”, e un maestro ha il dovere di dire a ciascun allievo se vale o meno, perché l’arte non ammette la mediocrità. Nella fiction sono un insegnante al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, uno dei più prestigiosi al mondo, in cui per entrare bisogna fare un concorso, e se vieni preso devi dare l’anima. Il maestro che illude gli allievi li danneggia, perché i giovani hanno bisogno di verità. E Marioni, nonostante il suo carattere spigoloso e rabbioso, è sempre alla ricerca della verità, dell’equilibrio, dell’onestà nei confronti dei suoi ragazzi. È un docente con il sacro fuoco della passione dentro; al contrario di quelli che vivono l’inerzia della loro professione e non lasciano il segno. Gli insegnanti possano essere Don Chisciotte meravigliosi, importantissimi per il futuro».