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Tindaro Granata tra la psicanalisi e Shakespeare

Tindaro Granata insegna al Piccolo di Milano

Un viaggio – frastagliato, periglioso, spesso controcorrente – dentro la nostra “strega interiore”. Così si potrebbe definire “Macbeth, le cose nascoste”, in scena al Piccolo Strehler fino a domenica e poi al Teatro Argentina di Roma dal 5 al 13 giugno. Scritto (insieme con Angela Dematté) e diretto da Carmelo Rifici (di origini messinesi), prodotto da Lac Lugano Arte e Cultura, aveva debuttato in Svizzera nel gennaio 2020 per essere poi subito fermato dal covid e diventa ancora più simbolico in questa riapertura dei sipari, che tutti speriamo definitiva.
Fra le grandi tragedie di Shakespeare, “Macbeth” è quella che affronta più di tutte il percorso del male, dalle sue origini al rimorso, lo stato di coscienza e – ante litteram – l’inconscio, quelle “cose nascoste” che albergano dentro di noi, fanno parte della nostra natura e risalgono, a sprazzi oppure in modo predominante, nel nostro stato di coscienza. Per questo l’idea di partenza di sottoporre gli attori a sedute con lo psicoanalista junghiano Giuseppe Lombardi (che appare in video) è affascinante e in qualche modo “costringe” gli spettatori ad autovalutarsi come potenziali Macbeth, in un territorio oscuro che fa parte della nostra natura. E le “confessioni” degli attori rivelano sentimenti, emozioni e impressioni autentiche, che sono anche le nostre, ciascuno con le proprie diverse caratteristiche ma unite da un unico filo verso un buio, con cui si può e si deve convivere, al contrario di Macbeth, il quale, una volta lanciato verso il desiderio di potere, non è capace di guidare né la sua parte razionale né quella emotiva.
L’anello di congiunzione tra la psicoanalisi moderna e le streghe scespiriane è rappresentato dall’attore Tindaro Granata (messinese di Tindari) che nella seduta rievoca e ripercorre il suo originario e ancestrale mondo contadino, fatto di lavoro e sudore, di pragmatismo “filosofico”, ma anche di riti necessari per difendersi da crudeltà che fanno banalmente parte della vita. Il ricordo della nonna “sciamana” nella rappresentazione scivola nei canti e nelle profezie delle streghe, che però esulano dal bene e dal male. «Il bello è brutto, il brutto è bello / tra cielo e terra ogni cosa balla», dice Ecate, la dea lunare da cui le streghe dipendono, in un finale che ha anche accenti taoisti.
Lo spettacolo si snoda con tre Macbeth (Granata, Alfonso De Vreese e Angelo Di Genio, anche Banquo) e tre Lady (Elena Rivoltini, Leda Kreider e Maria Pilar Perez Aspa, anche le streghe): si alternano e rievocano i punti base del testo originale, mentre sul palcoscenico scorrono l’acqua – un po’ liquido amniotico, ma ancor di più mare nero dell’esistenza, incapace di purificare e destinato a mischiarsi con il rosso del sangue – e il succedersi degli assassinii. Tutto è fortemente simbolico, ancora più nel finale, eppure va al di là della metafora perché pretende dallo spettatore la forza di condividere l’immersione nelle “cose nascoste”.
L’uccisione del bambino figlio di McDuff (colui che sconfiggerà Macbeth), interpretato da Alessandro Bandini, appeso nudo a testa in giù, si collega (e qui è ancora Granata eccellente protagonista) all’antico rito del maiale scannato, ulteriore conferma che certe cose ci appartengono anche se viviamo in una società che vuol credere di averle dimenticate. Cosparso di vernice dorata, il bambino si trasforma in Ecate, che guardandoci dalla luna ci riporta alla terra, anzi «tra cielo e terra», dove «l’inizio è la fine, la fine è l’inizio». Senza che si possa sfuggire.

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