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L’altro Tahar Ben Jelloun, poeta del dolore e della luce

In “Dolore e luce del mondo" (La nave di Teseo, traduzione di Cettina Caliò) libro di versi poetici erompenti un miscuglio di crudeltà delicatezza luminosità spiritualità raccoglie i temi ricorrenti della sua scrittura: la guerra, il razzismo, il fanatismo religioso, la poesia del mare.

C’est la lumière d’un coeur blanc et pur / qui donnera l’ordre d’accueillir l’exilè le fugitif / le migrant de tous le temps / …(È la luce di un cuore bianco e puro che darà ordine di accogliere l’esule fuggitivo il migrante di ogni tempo…)» scrive Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino nato a Fès, il più famoso romanziere di lingua francofona, poeta della libertà, che osserva e ascolta il mondo enigmatico mediterraneo captando, sullo sfondo della sua grande bellezza, turbolenze e sofferenze di un’umanità piegata.

In “Dolore e luce del mondo" (La nave di Teseo, traduzione di Cettina Caliò) libro di versi poetici erompenti un miscuglio di crudeltà delicatezza luminosità spiritualità raccoglie i temi ricorrenti della sua scrittura: la guerra, il razzismo, il fanatismo religioso, la poesia del mare.

La forma poetica – che è quella che Ben Jelloun preferisce nonostante i successi del romanziere – addolcisce ma non attenua la durezza del racconto poetico in cui si contrappongono il Bene e il Male. Non è un caso che il libro si apra con un lungo poema che rievoca l’assassinio di due turiste, due giovani donne, una norvegese e l’altra danese, brutalmente uccise in una notte del dicembre 2018 mentre erano accampate in tenda in un villaggio vicino a Marrakech: «Escono dalle tenebre per spargere buio nelle città e nelle campagne… la loro sete del Male è una febbre che li rassicura… gli avi, i vecchi e le vecchie si inginocchiano e chiedono perdono…» dice il poeta bollando gli assassini come esseri né uomini né animali «che non hanno né fede né cuore né palle».

È poesia del mondo e dell’umanità quella che contrapponendo il dolore e la luce affiora dai suoi versi. Lo sguardo di Ben Jelloun si allarga su un orizzonte amico amato e odiato che lui scruta da sempre concentrandosi su ogni aspetto della realtà in una continua alternanza di temi: la solitudine, il valore delle parole, il mare, i sogni; anche se l’argomento che l’attrae è quello della lotta tra il Bene e il Male che affronta nel poema che apre la raccolta, intitolato “La sete del Male”. Tema poi ripreso più avanti: «Il Male non è il contrario del Bene / ma il suo veleno / il suo miele al cianuro / circola nelle vene».

Diventa poesia d’incanto e di mistero questo libro di Ben Jelloun quando gli occhi vanno al vecchio mare dove affondano le sue radici, il mare «i cui umori donano ai vapori delle sostanze grasse / un profumo alterato». Il mare che rassicura. Che «è la vita». Ci sono poi nella raccolta poetica le «parole che riparano», titolo di un poemetto sorprendentemente dedicato alla Sicilia e allo scultore e pittore Mimmo Paladino. Quasi una consacrazione di luoghi che danno luce alla vita: «Il cielo di Sicilia / si è chinato per raccogliere quel che resta del tuo corpo / deve riparlarlo / e condurlo nel giardino dell’anima serena…./ E la terra si fonde allo zafferano d’Oriente / per acquietare questa Sicilia tanto agognata».

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