Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

"L'inverno dei Leoni": parla l’autrice della saga siciliana bestseller. Ma la vera leonessa è lei, Stefania Auci

Un lavoro accuratissimo durato anni per riuscire a raccontare la straordinaria parabola della famiglia Florio, ricostruendo, oltre i fatti e gli ambienti, soprattutto sentimenti e volontà

Passano gli anni, tornano i leoni, e Stefania Auci è sempre la stessa: trafelata a qualsiasi ora del giorno, dice una cosa e ne pensa cento, o ne dice cento e ne fa altre duecento mentre parla – non a raffica, piuttosto a ventate, come accade qui in Sicilia coi soffi che vengono dal mare, come accade nei suoi libri dove i venti sanno le cose e le sussurrano agli uomini. Stefania Auci è la scrittrice, la persona più lontana del mondo dallo stereotipo del “caso letterario”. No, non “caso del momento”: ormai da due anni, da quando il primo volume della saga dei Florio, “I Leoni di Sicilia” (Editrice Nord), è schizzato in vetta alle classifiche e ci è rimasto per mesi e mesi (100 settimane), fino alla cifra capogiro di 650mila copie solo in Italia (ma è stato pubblicato in 32 Paesi, ed è in lavorazione una serie tv che sarà coprodotta da Rai Fiction).

Classe '74, trapanese e poi palermitana d'adozione ed elezione, ma piuttosto “siciliana globale”, siciliana di vortice e di bonaccia, precipitosa e riflessiva, con un'etica del lavoro certosina e perfezionista fino all'ossessione, ma sempre capace di risate, leggerezza e salvifico babbìo. Insegnante, orgogliosamente, all'istituto Paolo Borsellino di Palermo: non ci ha mai nemmeno pensato a lasciare il suo posto e i suoi alunni. E poi un marito amatissimo e due figli adolescenti a cui sono dedicati entrambi i volumi dei “Leoni”, e quindi una ferrea routine domestica per esserci sempre, provvedere a tutto, occuparsi di tutto. Proprio come fa nella sua organizzatissima, levigatissima e studiatissima scrittura che grazie a tanto lavoro sembra sempre così spontanea e fresca.

Ascoltando Stefania Auci, sembra persino chiaro quali possano essere gli elementi del suo successo del tutto anomalo e controcorrente, con un libro, e ora due, ponderoso, senza uno straccio di commissario o ispettore, raccontando una storia molto vicina, che lambisce il presente, e che tutti credono di conoscere anche se, di fatto, è misconosciuta e addirittura fraintesa, e pure fidelizzando, avvincendo i lettori che la stavano aspettando con ansia amorosa. Perché Stefania, invece che dei trionfi, parla solo del “prima”, e di quello che lei ci ha messo, in queste due fortunate creature. Tanto, appassionato lavoro.
«Faccio quello che faccio perché mi piace farlo. Sono stata fortunata: la mia casa editrice, la mia editor hanno pienamente rispettato la mia storia, la mia scrittura, il mio modo di lavorare. Ho potuto costruire la mia voce».

La voce, che è tutto, ed è quello che lei ha restituito a quella prodigiosa famiglia calabro-sicula, i Florio, protagonisti d’una sfavillante parabola e di una mitologia durevole eppure ingannevole. Stefania Auci ci ha mostrato, all'opera nella storia dei Florio, le forze tutte umane della volontà, della rinuncia, del senso del dovere, dell'amore nella contesa con la sorte, lo stigma del sangue, le iatture immani del Sud misero e sottomesso dove nascere poveri è, di norma, una condanna senza appello. La costruzione di un impero – con fatica e caparbietà immense – e poi il contrario, la china discendente, la dissoluzione che però non riporta le cose al punto di partenza: ora la Sicilia, il Sud, il mondo ha una grande storia in più da raccontare. Questa storia.

Ma quanto è difficile, raccontare una storia “vera”?
«Il primo problema è scegliere. Decidere cosa trattare, cosa mettere in luce perché mi serviva dal punto di vista narrativo, e cosa invece escludere dalla scena. Ho parlato esclusivamente di cose di cui avevo un supporto di testimonianza: nessun sentito dire, nessuna dicerìa, per quanto affascinante o diffusa. La mia scelta è stata prettamente narrativa, ma sempre rispettosa, quindi basata su abbondanza e solidità di testimonianze. In questo è stata fondamentale la consultazione degli archivi dei giornali, specie Il Giornale di Sicilia e l'Ora: il passo della cronaca, l'attenzione dei cronisti come conferma di date, fatti, notazioni. Lì si apre la possibilità per un autore di enfatizzare dettagli importanti, di raccontarlo a modo tuo. Quello è il tuo spazio di libertà».

Uno spazio guadagnato con un grande lavoro preparatorio, di cui il lettore coglie solo la perfetta tenuta dell’insieme (con la spia delle brevi schede di inquadramento storico-economico e dei titoli dei capitoli, da cui i poetici incipit: nel primo libro erano i nomi delle merci, la “roba” dei Florio, dalle spezie al tonno allo zolfo, nel secondo sono altre entità e “materie”, il mare, e le perle, il cognac, la porcellana...) e di cui l'autrice dà contezza nella nota finale, dove rimarca: «Ho fatto delle scelte. Ma questo è il destino di chi scrive romanzi storici che sfiorano il presente ed è, insieme, una benedizione e una maledizione», ed elenca alcune delle opere fondamentali che ha consultato. Documentazione e rispetto sono le parole che ricorrono nel vortice di Stefania, e sono state le due direttrici di fondo del suo lavoro, lungo sei anni e che è proseguito, a ritmi forsennati, anche durante tutto il lockdown: «Avevo finito a marzo 2020, poi la sfida è stata riscriverlo e riscriverlo...». E quando non scriveva o non era in Dad, Stefania faceva pilates in casa o persino le scale del suo palazzo, nove piani su e giù, perché il firriamento del corpo e dello spirito è la stessa cosa, irrinunciabile. Pensando sempre a loro, i leoni: come rendere loro giustizia.

Specie ai nuovi protagonisti (le vicende del secondo romanzo si svolgono dal 1865 al 1935): Ignazio Florio e Giovanna D’Ondes Trigona e poi Ignazio Jr. e la famosa Donna Franca. «Una cosa fondamentale: avere rispetto dei personaggi. Ho imparato che è come se ti dicessero: ricordati che siamo altro da te, e devi trattarci bene. Nessuno di noi può giudicare gli altri, nemmeno un autore i suoi personaggi». Fa una pausa, e conclude: «È il momento in cui Stefania persona scivola nel libro».

Una delle parole che dici di più è «rispetto»...
«È vero. Credo che sia un valore».

Il tuo personaggio più amato?
«È una lotta ferocissima. Vincenzo, Giulia e, nel secondo libro, il senatore Ignazio. Ma forse Ignazio vince su tutti. Il personaggio che è arrivato per ultimo, la sfida più grossa. Una figura sfuggente, contraddittoria, schiavo di una coscienza e di un senso del dovere incredibili. Per me è stato un onore poterne parlare. Franca era “facile”, in qualche modo è più semplice costruire un personaggio di cui hai un percorso. Ignazio fugge i riflettori, lavora nell'ombra: a prima vista era opaco».

Il tuo personaggio che ti è costato di più?
«Ignazio, appunto. E in certi tratti Franca».

Franca Florio, l’abbagliante signora divenuta un’icona di stile. Certo, di lei abbiamo immagini e miti, ma forse per questo è più ardua da cogliere e narrare. E il gran lavoro di Stefania è stato, caparbiamente (la famosa 'ntigna), tirarlo fuori dall'ombra, scavare, rinunciare alle interpretazioni facili, pretendere di più dalla propria scrittura, dalla necessità d’una storia che dalla Storia partisse ma per approdare a una verità tutta umana.
«A me la cosa che interessava non era dare una chiave di lettura: non sono una storica. Ho sentito ogni sorta di tesi, sulla decadenza dei Florio, da “il Nord li ha fatti fallire” e “non erano all'altezza, loro stessi hanno causato la propria rovina”. Io ho condotto un lavoro di ricerca storiografica approfondita, anche su economia e politica del Meridione. Ci sono temi immensi: le dinamiche Sud-Nord, il ricambio generazionale. Poi ci sono gli uomini».

Ora che sei arrivata alla fine, ti mancheranno i tuoi personaggi?
«Sì, sono un po' dispiaciuta. Ma era giusto così. Ogni cosa ha il suo tempo e il suo ciclo. Li ho consegnati al mondo». Sorride: è materna coi suoi libri. Ha parole affettuose per la sua prima creatura, quel “Florence” (2015) che, ripubblicato, è stato pure bene accolto dai lettori e che le serve sempre come richiamo: «Per mettere le cose nelle giuste proporzioni». D'altronde, la sua mente inarrestabile macina già nuove idee, «ma sono stati sei anni molto intensi, ora devo resettare, ripulire, ricaricarmi emotivamente. E leggere, leggere tante cose». Anzi, mi confida un progetto di lettura in cui rituffarsi nei prossimi mesi: la Recherche di Proust. Un altro universo, un altro modo di raccontare storie inventate per illuminare mondi veri: la sfida più emozionante.

Ti hanno cambiata, i tuoi leoni?
«M’hanno insegnato, se possibile, a essere ancora più severa, rigorosa, scrupolosa. Non voglio adagiarmi, voglio migliorare, migliorarmi. Devi lavorare».

E sì, Stefania, sei proprio atipica: fino all'ultimo, le tue parole ricorrenti sono lavoro e rispetto. Ai leoni saresti piaciuta.

Oggi in edicola

Prima pagina

Caricamento commenti

Commenta la notizia