In scena c’è la nostra civiltà (o meglio, quel che ne resta) che tenta di riappropriarsi delle funzioni vitali del corpo per reagire a uno stordimento, più “digitale” che televisivo, ma che appare condannata da un’incapacità ormai conclamata di gestire gli istinti, diventati meri e pericolosi scopiazzamenti di ciò che vediamo in rete. Come se l’uomo si fosse autodestinato a parodie della vita, che non saranno mai più in grado di riportarci a una verità primitiva, dimenticata e non più ricostruibile. Partendo dalle macerie esistenziali del film-scandalo “La grande abbuffata”, girato nel 1973 da Marco Ferreri, Michele Sinisi (anche regista) e Francesco M. Asselta ne hanno scritto un’omonima e interessante versione teatrale (al teatro Fontana e poi al Metastasio di Prato) che ripercorre la trama, basata su quattro amici che decidono di ritirarsi in una villa per suicidarsi ingozzandosi di cibo e, con più difficoltà, di sesso.
Allora era una critica feroce e volutamente oscena al consumismo che cominciava e alla crisi di una società borghese che stava per perdere qualsiasi tipo di valore etico. La regia di Sinisi, pur mantenendo l’illusoria leggerezza dell’ironia (perfetta per veicolare le parti più ridicole del nostro oggi), punta meno sul cibo, preferendo mettere in primo piano il continuo ingurgitare di informazioni (in senso lato) da internet (dalle fake news alla pornografia) e dalla tv, dove le inchieste hanno lasciato il passo a prolissi dibattiti e conduttori narcisisti e in cui la ricerca della verità non è più il fine ultimo ma l’ultimo dei fini. Insomma, il terrore del consumismo denunciato da Ferreri è diventato nel teatro del 2021 una sorta di day after (anche del covid), dove tutto è stato consumato e le macerie finali (dopo l’eruzione mefitica del wc) diventano più rappresentative dei brevi monologhi, un po’ moralistici, che vorrebbero far riaprire gli occhi e far riscoprire i sani istinti.
La scena di Federico Biancalani è paradigmatica, con al centro un tavolo in perfetto stile “obitorio”, dove il sesso celebra il proprio funerale perché forse nessuno sa più come si fa mentre la vita si può solo imitare. Di eccellente livello tutte le interpretazioni: Stefano Braschi, il messinese Ninni Bruschetta, Gianni D’Addario e Donato Paternoster riprendono i ruoli che furono rispettivamente di Philippe Noiret, Michel Piccoli, Ugo Tognazzi e Marcello Mastroianni, mentre Adele Tirante (altra messinese) è la maestra allora interpretata da Andréa Ferréol. E tutti, come nel film, mantengono in scena il loro nome. Sara Drago, Marisa Grimaldo e Stefania Medri (divertentissime) sono le tre prostitute.
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