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Leonardo Sciascia, lo sguardo, il cinema: due mostre a Racalmuto e a Taormina

“Il giorno della civetta", il film cult del 1968 di Damiano Damiani, in oltre 120 istantanee di Enrico Appetito

«"Il giorno della civetta" ha rappresentato una svolta nella nostra famiglia. Mio padre lo terminò nell’estate del 60 nella vecchia casetta della Noce dove scrisse tutti i suoi libri». Ritrova i ricordi della quattordicenne di allora, Anna Maria Sciascia. «Un luogo dell’anima quella casetta, modesta, piccola ma viva. Mio padre scriveva nella stanza mia e di mia sorella. Molto semplice, due lettini e un tavolo rustico a fare da scrivania, sopra la macchina da scrivere, e non mancavano mai i fiori, i gelsomini e le magnolie amati da papà. Il libro è legato a quel tempo, alla campagna, a quell’estate con i suoi riti, il giorno del pane o delle pizze fatti in casa, i centrini di cretonne di mia madre, anche il cane rabbioso dei vicini diventato il Barruggieddu del romanzo. Tutto era molto poetico».
E si trova a Racalmuto, in questi giorni, Anna Maria, nella casa nuova della contrada Noce, per un’altra tappa importante delle manifestazioni legate al centenario della nascita di Leonardo Sciascia. Una mostra diffusa che coinvolge tutto il paese: oltre 120 istantanee scattate dal fotografo di scena Enrico Appetito durante le riprese del film “Il giorno della civetta”. Inaugurata nella sede della Fondazione Leonardo Sciascia, ma estesa allo spazio del Teatro Regina Margherita, del Municipio, e pure tra le strade del paese, sarà visitabile fino al 19 settembre.
Un chiasmo fotografico-letterario nell’incrociarsi di sguardi tra lo scrittore, innamorato del cinema sin da giovane, e il fotografo dall’occhio nomade (nell’archivio a lui intitolato sono custodite oltre cinquecentomila immagini, scattate sui set di più di cinquecento film, realizzati da grandi registi) che nei bellissimi scatti in cui il bianco e nero si fa corpo, ferma il movimento dei chiaroscuri, la luce e il lutto. Un romanzo anche questo.
Sguardo incrociato che per Fabrizio Catalano, regista e scrittore, nipote di Sciascia e coordinatore delle manifestazioni per il centenario, s’incontra «nell’amore per le persone, nell’attenzione per l’altro. Enrico Appetito, infatti, fermava l’obiettivo non solo sugli attori, sul set, non solo fuori set, nei momenti di pausa, o sulle comparse, ma anche sulla gente di Partinico, dove nell’estate del 1968 fu girato il film».
Diretto da Damiano Damiani, interpretato da Franco Nero e Claudia Cardinale, vantava un cast internazionale e rappresentava anch’esso una svolta. «Era il primo dei film che codificavano un genere – è sempre Catalano a parlare – , forse una trasposizione semplicistica del romanzo, che invece ha una dimensione profonda che racconta la collusione mafia-politica nelle sue stratificazioni. Però non conta tanto il giudizio sul film ma la riflessione su cosa era il cinema italiano all’epoca. I nostri film erano distribuiti a livello internazionale, il nostro cinema era il secondo più importante. E il pensiero di come oggi il cinema si prenda tanto sul serio e non esista sul piano internazionale, è la fotografia della decadenza di questo Paese...».
Il film dunque, nonostante certi momenti oleografici, fu un importante amplificatore del romanzo e come questo sfondava un tabù. «Andammo al cinema a vederlo, come persone normali – racconta ancora Anna Maria Sciascia – . A mio padre piacque, soltanto don Mariano gli sembrava un po’ troppo americano, e americano era veramente l’attore Lee J. Cobb».
Ma è doveroso ricordare che nel 1963 c’era stata la prima rappresentazione del “Giorno dalla civetta”, con la riduzione teatrale di Sciascia e dell’attore Giancarlo Sbragia, al teatro Stabile di Catania, fondato e diretto da Mario Giusti. È vivo il ricordo di Anna Maria: «Un avvenimento per la nostra famiglia, partita da Caltanissetta assieme ad amici, con i vestiti nuovi per l’occasione. Allora non si parlava di mafia, era un argomento tabù. All’inizio si sentivano commenti a bassa voce, fino a quando, concluso lo spettacolo, il pubblicò gridò con entusiasmo di voler l’autore sul palco, un omaggio accolto dalla consueta timidezza di mio padre».
Poi, in un’edizione del romanzo del 1972, lo scrittore avrebbe aggiunto: «Ho scritto questo racconto nell’estate del 1960. Allora il Governo non solo si disinteressava del fenomeno mafioso, ma esplicitamente lo negava». E infatti, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia fu istituita per la prima volta nel 1962.
Le creature del narratore come quelle del fotografo sono più vere di quelle in carne e ossa e questa mostra ne è la prova. In apertura il bel video curato da Miriana Chiarelli, con la viva voce di Sciascia che dice: «Per me il film è un’opera autonoma. Mi considero uno che ha fornito degli spunti al regista. Naturalmente c’è un certo amor proprio, io spero che il regista si serva di questi spunti nel modo più autentico possibile rispetto al libro». E poi: «Voglio continuare a vivere, a pensare, e a vedere dentro le cose, a giudicarle per come sono e a raccontarle. Voglio essere libero».
Assieme alla mostra sarà visitabile la pinacoteca della Fondazione Leonardo Sciascia, con l’esposizione di documenti inediti, locandine, le bobine SUPER 8 del film, una selezione di lettere del capitano Renato Candida, ispiratore del personaggio del capitano Bellodi, indirizzate a Leonardo Sciascia in circa quarant’anni di amicizia e una lettera di Primo Levi in cui lo scrittore riferisce a Sciascia le sue impressioni sulla trasposizione cinematografica del romanzo. E sarà inaugurata oggi a Taormina, alla Casa del Cinema, la mostra “Cinema e legalità, omaggio a Leonardo Sciascia”; a seguire la presentazione del libro “Sciascia e il cinema. Conversazioni con Fabrizio” (edito da Rubbettino in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia), ricordi e riflessioni tra Fabrizio Catalano e Vincenzo Aronica.

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