Avevamo lasciato il commissario, nato dalla penna dell’autore siciliano Francesco Bozzi, indispettito dalle scritte sui muri in “L’assassinio scrive 800A. Le iraconde indagini del commissario Mineo” e ritroviamo ancora Saverio Mineo a caccia dell’untore nel nuovo noir “Il giallo del gallo” (Solferino 2021). Il mistero si infittisce perché a Cinisi e Terrasini le imbarazzanti parole sono indirizzate alla polizia e, sempre più, allo stesso commissario; l’occulta regia va smascherata a costo di trascurare i prossimi casi. «L’omicidio è un problema secondario – sentenzia Mineo – tanto ormai quello è morto... c’è il problema più serio: le scritte… Da quando sono apparse queste scritte a Cinisi e Terrasini è successo di tutto... Omicidi e latitanti come se piovesse. Prima erano due paesi tranquilli, solo mafia e basta!». Nelle ultime pagine l’enigma si scioglierà ma i nuovi omicidi dei tre, ariosi, capitoli “Il giallo del gallo”, “L’ultima soffiata” e “Mineo e il vampiro”, costringeranno il commissario più indolente che la Sicilia abbia mai visto, a chiudere, suo malgrado, la Gazzetta dello Sport sospendendo la rituale e adorata lettura, in quell’ufficio in cui vorrebbe stare senza i pensieri del detective ma solo con le preoccupazioni di un impiegato regionale.
Ci porta dentro la scena Bozzi e questo è lo stigma del narratore ormai sicuro; lui autore di teatro e televisione (autore storico di Fiorello) dove la parola è resa evidente dall’immagine, qui nei libri, da scrittore, accompagna e orienta lo sguardo di chi legge. E lo fa con maestria e disinvoltura e con uno stile asciutto, scevro da estetismi letterari, avvezzo com’è alla lettura dei grandi maestri giallisti. Ne “Il giallo del gallo”, ambientato in Sicilia, come nel precedente libro, resta immutata la geografia dei luoghi, l’ordito della narrazione ma le storie sono nuove e decisamente ispirate e i personaggi attinti alla realtà. L’autore infatti rimescola ed elabora in modo creativo le informazioni registrate nella sua memoria: come nel primo volume ha fatto morire veri amici suoi, quei “fa morire” Pucci che è realmente pittore geniale, raffinato e amico suo, insomma ha bisogno di verità Bozzi per nutrire la sua fantasia.
E resta nel nuovo libro la centralità del commissario Mineo, la sua tipizzazione, lui è il vero perno della narrazione, un personaggio non stereotipato, fecondatore di una mitologia sempre più felice che fidelizza i lettori. E c’è la tutta la squadra, che lui tratta impietosamente, l’assistente Milito, l’ispettore La Placa, il medico legale Costanza e c’è la moglie del commissario, presenza minacciosa e incombente sulla sua libertà di gestire il tempo. E c’è la Sicilia con le folate di scirocco; le incursioni del mare; le granite come quella di gelsi “inizia a gustare la granita, a partire dalla panna in cui scava un buco, e ne esce un fiotto rosso scuro”; l’uso, tutto isolano, delle “nciurie” per identificare una persona e le topografie di strade e piazze descritte con compiacimento dall’autore palermitano. Le storie dei nuovi tre episodi (i testi hanno la genesi televisiva di sceneggiature) seguono un canone e impianto fisso, l’autore conferma il controllo della tecnica della narrazione solida del romanzo d’esordio, ma garantendo verve e immutato entusiasmo per le nuove avventure. Il ritmo brillante e il timbro ironico che attraversa tutto l’ordito del libro è un marchio di fabbrica dello stesso Bozzi. Anche questo nuovo capitolo dei casi del commissario Mineo piacerà ai lettori e piacerà anche ai messinesi che troveranno una citazione legata al terremoto di Messina.
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