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Magna Graecia Film Festival, John Savage: “Per stare meglio condividete le esperienze felici”

Masterclass della star hollywoodiana che ha consegnato un’immagine emblematica della società americana ancora ossessionata dalla guerra del Vietnam

Un attore è un attore. Anche quando interpreta solo se stesso. Canta, mima, sbuffa, sospira, interagisce, gesticola, fa il broncio, istrioneggia, sorride. Si declina in decine e decine di emozioni diverse, la star hollywoodiana John Savage alla masterclass tenuta ieri a Catanzaro, nel suggestivo chiostro del San Giovanni, per la quarta giornata del Magna Graecia Film Festival. Un trionfo del linguaggio del corpo, quasi un omaggio alla commedia dell’arte e alla grande tradizione della gestualità attorica italiana, anche se i temi affrontati sono tutti a stelle e strisce.
Condotta dalla giornalista Silvia Bizio, la performance dell’attore statunitense nato nel 1949 a Long Island, New York, interprete di quasi duecento lavori cinematografici al ritmo perfino di sei film in un anno, puntava a spiegare «cosa vuol dire la recitazione come lavoro». Ma Savage è andato oltre, consegnando al Festival diretto da Gianvito Casadonte un’immagine emblematica della società americana ancora ossessionata dalla guerra del Vietnam. Segnata per sempre dalle conseguenze tragiche dei tanti conflitti, atti terroristici e stragi che ne hanno scandito la storia recente.
Il “ground zero” di Savage inizia presto: figlio di un marine, cresce vedendo in casa soldati e veterani appartarsi tra loro, a volte piangere, parlare di ospedali militari e cicatrici nell’anima. La «sofferenza di essere in guerra» – racconta l’attore - ha cambiato l’America e lui, per un singolare destino, ha dato volto e voce a questo dramma. Dagli esordi con “Il cacciatore” (1978), il film di Michael Cimino che l’ha reso famoso, al recentissimo “The Last Full Measure”, storia di un eroe dimenticato che ha salvato più di sessanta marines prima di essere ucciso nel corso di una delle più sanguinose battaglie della guerra del Vietnam.
Icona di un certo tipo di eroe-antieroe ruvido e fascinoso, Savage si è raccontato come un bimbo fragile, nato prematuro da un parto al quale non è sopravvissuta la sorellina gemella, e poi cresciuto tra i libri, esposto alle storie delle vite degli altri.
Inizia a cantare nei cori, sembra destinato a coltivare la voce e il belcanto, poi lascia tutto e va a Broadway, frequenta donne, beve, vive. Il cinema è ancora molto lontano. Intorno è un’escalation di violenza, sono gli anni della contestazione, delle proteste, del terrorismo, degli studenti uccisi nelle strade.
Anni di sofferenza, prima di diventare un’icona internazionale con film “stellari” come “Padrino III” in cui interpreta la figura di padre Andrew Hagen, il musical “Hair” nella parte di Claude Bukowski, fino a “La sottile linea rossa” di Terence Malick e “Admissions” di Melissa Painter, solo per citare i più famosi.
Invitato dal direttore artistico del Magna Graecia Film Festival a presiedere la giuria dei film internazionali, John Savage è da qualche giorno in Calabria con l’affascinante Blanca Blanco, più che mai felice di essere in Italia di cui ama «la storia, il cibo, la bellezza, la gente». Invita tutti a catturare la vita, a condividere le esperienze felici, perché così «ci si sente meglio» pur immersi in quel “visual drama” che è la società contemporanea. Insignito del Magna Graecia Film Festival Award, ha proiettato la kermesse nel glamour del divismo hollywoodiano con carismatico appeal e straordinario impatto comunicativo.

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