Da ieri pomeriggio Giuseppina Torregrossa si muove a Salina in mezzo a “Paure, sogni, visioni”, quelle che circolano quest’anno al SalinaDocFest. Prove di Festival: stasera, infatti, Giuseppe Siracusano, presidente dell'Associazione Salina Isola Verde, consegnerà alla scrittrice palermitana il Premio Ravesi “Dal testo allo schermo” che torna nel segno delle donne, dopo Nahal Tajadod e Golshifteh Farahani, Emma Dante e Jamila Hassoune. Dice la Torregrossa: «Speriamo di esserci lasciati alle spalle le paure, ma il futuro è incerto nonostante sembriamo tutti animati di speranza, come sempre quando si vive una crisi profonda. Per me è un onore ricevere un premio in un Festival così qualificato: purtroppo sarà un’edizione ancora senza abbracci e per noi siciliani è una gran sofferenza. E siamo ancora braccati dall’ignoto che talvolta però può essere una bella avventura». Per Giovanna Taviani, fondatrice e direttrice del SDF «il premio Ravesi, fin dall’inizio ha voluto porre lo sguardo proprio al nesso tra il grande cinema e la grande composizione letteraria». Il commento di Lidia Tilotta, co-direttrice artistica per la sezione Letteratura, che stasera al Centro Congressi di Malfa, dialogherà con la scrittrice alla presenza della regista e scrittrice Cristina Comencini: «Giuseppina Torregrossa è una delle voci del panorama letterario italiano contemporaneo che meglio sanno leggere la realtà analizzandola senza filtri, partendo dalle storie degli uomini e delle donne». Quando deve descriversi, Giuseppina Torregrossa si sintetizza così: «Sono un medico che vuol conoscere e una scrittrice che vuol raccontare. Credo che la scrittura abbia saldato le mie due anime, quella medica che si prende cura – che è diverso dal curare – e accoglie, e quella di scrittrice che, in fondo, fa lo stesso». E arriviamo a Giustino Salonia, un uomo “Al contrario”, come il titolo del romanzo di cui è protagonista, l’ultimo della Torregrossa. È un personaggio irrequieto e contraddittorio che agisce facendo tutto l’opposto di ciò che è conveniente. «Pensiamo al nostro corpo: ci invia segnali precisi che noi non cogliamo, campanelli d’allarme che ignoriamo, anzi facciamo l’opposto rispetto a quei suggerimenti». Giustino soffre di una particolare patologia cardiologica che si chiama “situs inversus”, una condizione congenita in cui gli organi sono invertiti in modo speculare rispetto alla loro usuale posizione: «È un invito a guardare da una prospettiva diversa, a uscire dagli schemi abituali che ci imbrigliano». Donne e corpi protagonisti, nel romanzo. «Una donna, proprio perché soggetta a maggiori cambiamenti nel corpo sviluppa una resilienza, un’abitudine al cambiamento superiore all’uomo. In funzione di un corpo così cangiante, ha mille prospettive e un universo più ricco». Gli anni ’20 del secolo scorso? Anni che hanno lasciato il segno. «Dobbiamo deciderci ad affrontare il periodo fascista come non abbiamo mai fatto, solo così capiremo perché siamo arrivati a questo punto e come venir fuori dai danni provocati da quel Ventennio». In che senso? «Prima del fascismo l’Itala produceva, la Sicilia prendeva il meglio, e lo elaborava, dai suoi conquistatori. Mussolini ci salvò dalla malaria ma, per fare un esempio, con la battaglia del grano cancellò tutti i grani antichi siciliani per far posto a coltivazioni ibride e intensive che portarono all’uso di insetticidi e diserbanti, avvelenando e impoverendo la terra. Poi, nel ’43, colonizzati dagli americani, i siciliani – e non solo - hanno fatto loro un modello di consumismo in cui più possiedi e più sei felice. Ecco, in questo libro sono andata indietro negli anni per raccontare come la relazione con l’ambiente possa determinare un futuro sano e felice. E noi, anche qui, ci comportiamo al contrario, appiattiti come siamo su modelli lontani che non ci appartengono». La pandemia ce lo ha spiattellato.