«Racconto personaggi agitati, frustrati e insoddisfatti ma proprio per la loro umanità, per l’insicurezza sul versante amoroso, sono così intriganti».
Non ancora trentenne, nel 1988, lo scrittore americano Peter Cameron scrisse un romanzo a puntate che poi divenne un libro, una deliziosa commedia degli equivoci con un carosello di personaggi, raccontando anche un rapimento e un divorzio. Sino ad oggi inedito in Italia, “Anno bisestile” uscirà il prossimo 7 ottobre (Adelphi, tr. Giuseppina Oneto, pp.224, euro 19) e l’autore, 61enne, oggi incontrerà i suoi lettori in streaming (alle 11) durante la giornata conclusiva del festival Pordenonelegge. Autore di diversi titoli bestseller – fra cui “Un giorno questo dolore ti sarà utile” e “Quella sera dorata” (editi da Adelphi e trasposti con successo al cinema) – Cameron ripensa alla sua intera carriera e commenta il presente con una nota di amarezza: «La pandemia ha colpito duramente la città di New York. Sono molto preoccupato per quello che ci attende».
Un carosello di personaggi, un susseguirsi di scene e dialoghi come in una sit-com. Dove nascono le sue storie?
«I miei personaggi sono reali, non sono macchiette. Le nostre vite sono complicate, è difficile far quadrare tutto, mettere in piedi delle relazioni, costruire una carriera e una famiglia. E per le donne tutto ciò è ancor più complicato. Volevo raccontare proprio questa complessità».
Perché?
«Perché la trovo dannatamente interessante. I miei personaggi si auto-selezionano, nessuno vuole leggere le storie di personaggi felici e soddisfatti, sarebbe terribilmente noioso».
Trent’anni dopo, questo futuro l’ha soddisfatta?
«No, perché non avevo un’idea specifica su cosa dovessi aspettarmi. La vita è qualcosa di volatile, l’ho affrontata a viso aperto ma avevo un sogno».
Ovvero?
«Volevo vivere qui, a New York. E diventare uno scrittore di successo. Posso dire di esserci riuscito, sono grato e sorpreso per quello che la vita mi ha donato. Ma scrivere di questa città non è semplice, può essere eccitante e terribilmente frustrante perché pur vivendoci da oltre quarant’anni, ho costantemente l’impressione che mi sfugga qualcosa».
In “Anno bisestile” racconta amori omosessuali e tanta insicurezza sul fronte affettivo. Sul fronte dei diritti Lgbtq+ abbiamo fatto passi avanti?
«Senza dubbio! Se trent’anni mi avessero detto che per una coppia gay o lesbo sarebbe stato possibile sposarsi o giungere alle unioni civili, sarei rimasto senza parole. Eppure, certe cose non sono cambiate…»
Ovvero?
«Lauren è una donna in carriera ma non ha un partner fisso. Vorrebbe costruire una famiglia, ricorre all’inseminazione artificiale ma fa una dannata fatica a tenere insieme tutti. Ancora oggi costruire una famiglia è una grande sfida, un’impresa epica».
Sarebbe interessante aggiornare ad oggi i suoi protagonisti. Ci ha pensato?
«Certo. Ci ho pensato ciclicamente quasi ogni dieci anni ma alla fine ho lasciato perdere».
Perché?
«Quando scrivo i miei personaggi sono miei in modo intimo e approfondito. Ma nel momento in cui termino di scrivere e concludo la storia, non fanno più parte di me, escono dalla mia mente e temo che oggi sarebbe arduo farli rientrare dentro l’inquadratura».
Un passo in avanti è stato compiuto anche sul linguaggio e la percezione sociale del gender?
«Senza dubbio. Pensi, ho un pronipote che ha appena detto ai suoi genitori di sentirsi queer, al tempo stesso uomo e donna e io sono così orgoglioso e fiero di lui per non essersi voluto nascondere. Oggi si parla di genere e di sessualità in modo libero, questo è un grande passo avanti per tutti».
“Anno bisestile” è un inno alla città di New York, come “Un giorno questo dolore ti sarà utile”?
«Sì, uno richiama l’altro perché al centro di tutto c’è questa metropoli. Curiosamente, due volte mi hanno proposto un adattamento di Anno bisestile. La prima volta, a ridosso dell’uscita, si parlò di farne un film per celebrarne la frenesia di New York City; la seconda volta, a vent’anni di distanza, c’era in ballo una serie tv per cogliere la malinconia dei bei tempi andati. Peccato che in entrambi i casi questi adattamenti siano sfumati».
E oggi, a trent’anni da questo libro, come sta New York?
«Lockdown e pandemia hanno spezzato il suo sogno, infrangendone la grandezza. È davvero triste vedere i cinema e i teatri chiusi, lo ammetto sono molto timoroso per il tempo che verrà, non solo da un punto di vista culturale. Mi auguro che ancora una volta, New York ci faccia sognare».
Sta lavorando ad un nuovo romanzo?
«Non adesso. Dallo scorso anno sto editando l’autobiografia di James Ivory, il regista e premio Oscar statunitense per un libro di futura pubblicazione».
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