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Raccontare storie per salvare il pianeta. Parla la scrittrice canadese Margaret Atwood

"La narrativa riguarda tutti noi. Teniamo alta la guardia su ecologia e politica"

«Il nostro futuro è nelle mani dei giovani attivisti, tra poco saranno grandi abbastanza per votare. Perciò i politici dovrebbero fare molta attenzione a questo fatto, così come le persone che dovranno decidere chi mandare a governare, se si vuole che ci sia ancora la razza umana su questo pianeta». È questo il messaggio più forte di Margaret Atwood, 81 anni, la grande scrittrice canadese in odore di Nobel, che oggi ad Alba riceverà il Premio Speciale Lattes Grinzane 2021 e terrà la lectio magistralis “Raccontare storie”, e domani parteciperà a Torino a un’anteprima speciale del Salone del Libro.

Poetessa (appena uscita in Italia per Ponte alle Grazie la sua raccolta “Moltissimo”, con testo inglese a fronte), scrittrice, ambientalista, femminista e attivista (attualmente per Equality now), scrive da quando era giovanissima su temi totali: la vita, la morte, l’amore, la rigenerazione, il cambiamento, l’iniquità e la giustizia, il clima, la natura, il tempo, la tristezza, la gioia. Insomma, il mondo in tutta la sua varietà e nelle sue contraddizioni. Con le storie che la narratrice pratica in tutte le forme di scrittura, dal racconto breve al romanzo, al saggio, alle fiabe per bambini (come “Tric Trac Trio”, tre racconti da poco editi da Salani con le illustrazioni di Dušan Petričić).

Le storie possiedono la forza di produrre consapevolezza sulla condizione umana, di produrre verità pure quando si lavora dentro alla finzione. «La narrativa riguarda tutti noi. Quello che riescono a fare le storie, meglio della scienza, è creare un impatto emotivo, creare interesse. Ma le storie devono essere basate su fatti reali. Il grande romanzo dell’ ‘800 era una forma di finzione narrativa che esplorava la realtà sociale».

È molto attenta a rimanere radicata ai fatti, la Atwood, poi magari, poiché qualsiasi narrazione è una specie di viaggio sciamanico, può diventare un racconto distopico come “Il racconto dell’ancella”, suo romanzo cult (e poi serie tv di successo mondiale) grazie al quale molte donne hanno guardato il mondo con occhi diversi: una realtà apocalittica in cui vige una teocrazia totalitaria maschilista, con le donne ridotte ad Ancelle, strumenti di riproduzione, svuotate persino del proprio nome e controllate da Occhi, Custodi, Angeli, Comandanti, Mogli, Marte, Zie, Economogli.

Scritto nel 1985, è un affresco potentissimo di una “distopia” già qui, tra noi, e ha avuto un sequel con la trilogia di MaddAddam, diventata una serie Netflix. La dimostrazione che l’impatto di una storia che tratta di temi ambientali riesce ad avere un suo riverbero perché «la crisi climatica non è una finzione. Per conoscerla, certo, basta vedere un documentario, ma bisogna creare qualcosa di più romanzato, di più avventuroso. L’essere umano vuole questo, se non c’è una novità, un interesse, non vede il problema».

Innamorata dei classici, la Atwood fa spesso riferimento a Virgilio e a Dante. «Mi affascina il fatto che il viaggio di Dante nell’aldilà sia una sorta di metafora del rapporto tra scrittore e lettore: il lettore si fa convincere al viaggio dallo scrittore. La porta da varcare, come Dante fa quando scende nell’inferno, sono le pagine iniziali della storia che mostrano la buona volontà dello scrittore di far divertire il lettore. Questo deve fidarsi dello scrittore e lo scrittore deve essere degno della fiducia del lettore».

E quando le si chiede cosa pensa delle donne afghane, ricorda di avere curato l’introduzione di un libro scritto da afghane e che nel 1978 si trovava proprio in Afghanistan, «sei mesi prima dell’uccisione del presidente Daud Khan, cosa che poi ha portato a tutto quel che abbiamo visto. Così, ho capito che il progresso non è una linea dritta. La strada per il progresso non è una strada di mattoni gialli che ci porta diritto verso la città di Oz: il cambiamento sociale è un processo lungo, difficile, costellato di andirivieni, di cambiamenti non sempre positivi e richiede la partecipazione di tutti. Quattro cose sono strettamente legate: crisi climatica, condizione delle donne, crisi economica e condizione delle popolazioni indigene. Il cambiamento climatico provocherà morti e tragedie e ne saranno danneggiati soprattutto donne e bambini».

Poi mette in guardia dalla rabbia: «Pure se proviene da una buona motivazione, se si avvolge troppo su se stessa diventa tossica», e ricorda ancora che «molte cose, molte credenze vengono presentate nella rete per destabilizzare un sistema come sta avvenendo negli Usa. Ma dobbiamo capire chi sta destabilizzando e perché».

Infine, una sapiente e risolutiva risposta sulla questione della statua sexy della “Spigolatrice” italiana e sull’indignazione che ha provocato nel mondo femminile: «Quando viene fatta una rappresentazione bisognerebbe pensare ai fatti storici. Una spigolatrice, una contadina, una lavoratrice, non si vestiva certamente così...».

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