Era il 1975, quando un efferato fatto di cronaca, il Massacro del Circeo, fu una delle pagine di cronaca nera più sconvolgenti degli ultimi 50 anni, diventando emblema di ogni violenza e prevaricazione e creando le premesse per un futuro cambiamento legislativo. Quei fatti hanno ispirato il film “La scuola cattolica” di Stefano Mordini - da oggi in sala dopo la presentazione fuori concorso a Venezia - innescando tuttavia una diatriba sui contenuti tra la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche (Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mibac), la produzione e il regista. Nella giornata di ieri la Commissione ha infatti stabilito il divieto del film ai minori di 18 anni per le tematiche e i contenuti trattati. Sotto accusa in particolare la scena in cui il professore di religione, illustrando un dipinto di Cristo Flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra cui gli assassino del Circeo, un'interpretazione in cui loro stessi, Cristo e i flagellanti vengono messi sullo stesso piano. Al divieto hanno replicato tanto la produzione - che rivendica la libertà artistica e di espressione degli autori, chiamando in causa anche le dichiarazioni del ministro Franceschini riguardo l'abolizione della censura per le opere cinematografiche e teatrali - quanto lo stesso regista, di cui abbiamo raccolto alcune dichiarazioni. «Trovo che sia una censura che pone le basi su una questione che è assolutamente estranea al film. Non abbiamo parificato vittime e carnefici; al contrario abbiamo lavorato per mostrare che all'interno di un unico ambiente culturale c'è chi fa scelte precise verso il bene e chi si lascia andare ad un'idea falsa di impunità e quindi partecipa all'assassinio. Questo tipo di censura ci coglie di sorpresa perché è riferita ai “contenuti” e non al modo di renderli. Pensavo che potesse essere censurato il film, e in quel caso saremmo intervenuti su nudi e scene di violenza. Ma se si passa al piano contenutistico diventa complicato fare questo lavoro. Inviterei a riflettere sulla questione, non tanto sul risultato di una possibile risoluzione dai 18 ai 14 anni. È piuttosto strano che ciò possa accadere oggi. Immaginavo di far parte di una democrazia e di una cultura matura e questa censura mi riporta molto indietro, mi stupisce e mi rattrista». Risentiti anche i familiari delle vittime, che hanno replicato tramite il loro legale. A riguardo Mordini aggiunge: «Il film è destinato ai giovani ed è necessario soprattutto alle ragazze. Inoltre contiene una ricostruzione storica del periodo in cui i fatti sono accaduti. I familiari ne avevano appoggiato i contenuti senza alcuna riserva. Quindi bisogna focalizzare l'attenzione sul perché questo accada nel nostro Paese, almeno per ciò che riguarda il nostro mestiere». Il film infatti porta sul grande schermo la sanguinosa vicenda assumendone contenuti e significati e ricostruendo epoca, ambienti e personaggi del contesto in cui agirono Andrea Ghira (Giulio Pranno), Gianni Guido (Francesco Cavallo) e Angelo Izzo (Luca Vergoni), ex allievi della scuola privata San Leone Magno di Roma. Figli dell'alta borghesia ed estremisti di destra, nella notte tra il 29 e 30 settembre 1975 i tre violentarono, infliggendo efferate torture, Rosaria Lopez (Federica Torchetti), assassinata, e Donatella Colasanti (Benedetta Porcaroli), che riuscì a salvarsi fingendosi morta. Tratto dal libro omonimo di Edoardo Albinati (edito da Rizzoli), vincitore del Premio Strega 2016, e adattato dal regista con Massimo Gaudioso e Luca Infascelli, il film annovera nel cast Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Fabrizio Gifuni, Valentina Cervi e il palermitano Fausto Russo Alesi. «Il libro racconta un certo tipo di approccio educativo, sociale, economico e politico - ci ha detto Mordini - che poi contiene in quell'anno di passaggio, centrale nella vita della società italiana, anche il delitto del Circeo e la morte di Pasolini, come conseguenza di quel mondo». Il film trasforma le parole di Albinati, interpretato da Emanuele Maria Di Stefano, in voce narrante e riprende struttura e fil rouge del libro. Come è nata l'idea di portarlo sullo schermo e che lavoro è stato fatto per l'adattamento? «L'idea nasce dal produttore Roberto Sessa che, avendo apprezzato il libro, ha concepito di farne una serie. Trasformare in immagini le parole di Albinati sarebbe stata la sfida più grande, ma abbiamo scelto di estrapolare dalle pagine una sorta di “necessità” del libro stesso. Raccontare quindi un'identità che si stava formando e andava chiarita, sia nelle manifestazioni di eccesso, che la rendono “giudicabile”, come ovviamente sono gli assassini del Circeo, sia nella rilettura di quell'altra parte in formazione che invece il limite l'ha trovato. I ragazzi del Circeo hanno sfidato il limite, pensando di essere nell'aria dell'impunità, ed è una grave pecca del genere maschile quella di non comprendere quando fermarsi». Quella vicenda di sangue rappresentò uno spartiacque, creando le premesse legislative per ascrivere la violenza sulle donne ai reati contro la persona. La volontà di prevaricare, soprattutto sulle donne, è ancora un grosso limite della società attuale, visti i casi di femminicidio…. «Credo che si tratti di periodi critici e di passaggio. Consideriamo che nel ‘75 eravamo in mezzo a un compromesso storico, con una parte di società che proponeva contenuti nuovi, ed un'altra che mostrava eccessi di violenza che si sfidavano sullo stesso territorio. L'attuale momento storico, pur in modo meno palese, ha generato altre insicurezze, e l'uomo di fronte all'incertezza reagisce in maniera stupida: quando si sente minacciato tira fuori il lato violento. In questo senso purtroppo il film è attuale. Ma una società può progredire anche attraverso il sacrificio di alcuni; e sicuramente la morte di Rosaria Lopez e poi di Donatella Colasanti 30 anni dopo ha aiutato a riflettere per inserire cambiamenti legislativi fondamentali, ma ancora insufficienti rispetto alle problematiche sul tappeto». Un cast importante, tra nuove leve come Benedetta Porcaroli, Federica Torchetti e altri, e professionisti consolidati del calibro di Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Fabrizio Gifuni. Quanto è stato importante il loro apporto? «Affiancare sullo schermo a ragazzi giovani figure genitoriali di grande professionalità è stato un modo per proteggere gli uni e far sì che gli altri rendessero ancora più credibile il progetto. Un insieme di libertà ed esperienza che crea la necessità di rendere ciò che si sa vicino a ciò che si sente».