Questa volta il segnale lanciato dall'Accademia Reale svedese è stato di quelli forti: un Nobel per la Fisica assegnato a tre illustri ricercatori, che si occupano di “sistemi complessi”. Come quelli che stanno alla base della previsione dei fenomeni atmosferici e, soprattutto, dei cambiamenti climatici. Uno dei tre scienziati (verrebbe voglia di dire “finalmente”) è italiano: Giorgio Parisi, 73 anni, dell'Università “La Sapienza” di Roma e dell'Istituto nazionale di fisica della materia. Gli altri due sono Syukuro Manabe (90 anni), meteorologo senior dell'Università americana di Princeton, e Klaus Hasselmann (89 anni) del Max Planck Institute for Meteorology di Amburgo (Germania). In questo caso, l'Accademia ha riconosciuto la validità dei loro modelli computerizzati applicati alle previsioni climatiche e, soprattutto, alle emissioni di CO2. Essi convalidano i timori legati al rischio di riscaldamento globale e rappresentano un monito severo, anche in vista della conferenza sul clima promossa dall'Onu (la COP26) che si terrà a Glasgow a novembre.
Questo tipo di studi è stato ritenuto vincente dal Comitato Nobel, grazie all'apporto teorico di Giorgio Parisi, che si è interessato a un ramo della complessità solo apparentemente “distante” dalla meteorologia: i vetri di spin. Si tratta di leghe metalliche particolari, in cui pochissimi atomi di ferro influenzano in modo decisivo il comportamento di tutto il solido, che è fatto per la maggior parte di rame. Il professor John Wettlauer (Yale University) del Comitato Nobel ha detto che Giorgio Parisi ha dimostrato, matematicamente, come la complessità dell'infinitamente piccolo e la sua apparente caoticità possano essere eccellenti modelli da utilizzare per comprendere anche l'infinitamente grande. Insomma, i “vetri di spin” di Giorgio Parisi sono la chiave per elaborare equazioni che descrivano, con sufficiente affidabilità, l'andamento del clima e di tutto ciò che ne consegue: dall'emissione di CO2 al particolato atmosferico, dalle temperature alla piovosità o alle conseguenti e ricorrenti siccità.
A sottolineare l'importanza del contributo offerto da Giorgio Parisi alla ricerca globale, sta il fatto che lo scienziato italiano percepirà la metà del premio in denaro che costituisce la dotazione del Nobel. Manabe e Hasselmann si divideranno l'altro 50%. Peraltro, era dal 1984 che
Per i messinesi, Giorgio Parisi è una vecchia e gradita conoscenza. Ha infatti partecipato, in qualità di “faculty”, ma anche di “fellow”, a diverse iniziative convegnistche, organizzate dalla Fondazione Bonino- Pulejo con l'Università di Messina (prof. Francesco Mallamace). In quelle occasioni, il tema di riferimento era il “Progetto sistemi complessi”, sviluppato fin dagli anni '90. Giorgio Parisi parlava dei nuovi approcci statistici per lo studio dei fenomeni “multiscala” (sia nella dinamica, quanto nella struttura), creando un'interfaccia “grandangolare” fra discipline diverse, come la fisica, la chimica e la biologia.
Come ancora oggi sostiene il suo grande amico e collega di studi, Francesco Mallamace, «Parisi ha dato contributi fondamentali, riconosciuti come geniali dalla comunità scientifica internazionale e che la stessa motivazione del Premio Nobel sottolinea: “Per la scoperta dei legami tra disordine e fluttuazione in sistemi fisici, dalla scala atomica a quelle planetarie”».
Grazie anche alla Fondazione, a Messina si parlava di “vetri di spin”, di Caos, Complessità e Teoria delle catastrofi oltre vent'anni fa. Così come si relazionava di fluttuazioni climatiche, “effetto farfalla” e dinamiche non lineari. A dibattere c'era la “crema” della fisica internazionale, con tante medaglie Boltzmann: da Gene Stanley a Sow-Hsin Chen, da Giorgio Parisi a Kyozi Kawasaki, a Ben Widom e Sidney Yip.. E Premi Nobel, come Bertram N.Brockhouse, Pierre Gilles de Gennes, Brian Josephson o Ylia Prigogine. Famosissimo resta un episodio, svoltosi durante un incontro della Bonino-Pulejo e ricordato da Cisco Mallamace. Sir Sam Edwards, che relazionava, venne interrotto dalle obiezioni di Giorgio Parisi, sui “modelli di replica” della complessità. Ne seguì un sofisticatissimo botta e risposta e ai giovani ricercatori che chiedevano lumi un altro Premio Nobel, Gilles de Gennes, rispose: «Niente di che, stanno solo scrivendo una nuova pagina nella fisica dei polimeri».
Insomma, questa volta la Reale Accademia di Stoccolma, ricordandosi della prestigiosa storia della fisica italiana, ha voluto ricordare come le teorie “di scala” debbano uscire dai laboratori, per dare il loro decisivo contributo alla vivibilità del pianeta. Perché la prevedibilità dei fenomeni e la loro auspicabile governabilità sono indissolubilmente legati. E non dipendono dalla loro grandezza.
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