«Quando scrivo, nemmeno io so chi sono». Inconfondibile, è tornata Elena Ferrante. Scrittrice bestseller, dopo il successo della Mostra del Cinema di Venezia – con la trasposizione de “La figlia oscura”, da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Maggie Gyllenhaal – e il clamore di una conversazione con Marina Abramovic sul significato dell’arte (pubblicata sulla copertina del Financial Times, in occasione del premio Sunday Times Award for Literary Excellence), la misteriosa autrice torna a interrogarsi, ragionando sulla altrui e sulla propria «avventura dello scrivere».
L’occasione è l’arrivo sugli scaffali de “I margini e il dettato. Conversazioni sul piacere di leggere e scrivere” (pubblicato da Edizioni E/O, pp.160 €15) un saggio che accoglie quattro testi: tre lezioni magistrali destinate alla cittadinanza di Bologna (in occasione delle Umberto Eco Lectures) e un saggio composto per la chiusura del convegno degli italianisti su Dante e altri classici. Intanto, provando a colmare il vuoto e al contempo, ad uscire fuori dalla pagina scritta, diventando racconto ed oralità, ecco “La scrittura smarginata”, le tre letture (fino a domani, anche in diretta streaming su Facebook e YouTube) in scena ed in programma al Teatro Arena del Sole di Bologna, interpretate dall’attrice Manuela Mandracchia.
Iniziando a leggere, si parte con “La pena e la penna”, riflettendo sulle diverse modalità di scrittura da cui nascono i romanzi di Elena Ferrante, fra quella acquiescente che tende a stare dentro i margini, e l’altra quella impetuosa e strafottente.
“Acquamarina” evoca numerosi esempi tratti da altre voci e autrici, ragionando sul finto realismo e l’uso della prima persona, elementi fondativi dei suoi primi tre libri (“L’amore molesto”, “I giorni dell’abbandono”, “La figlia oscura”), un movimento che ha contribuito a delineare «il rapporto tra Lenù e Lila, tra le loro scritture» ne “L’amica geniale”.
Infine, in “Storie, Io” eccola affrontare l’incessante dialogo che ogni testo intrattiene con gli altri, in un rimando che è anche uno specchio e un capovolgersi di sensazioni e punti di vista, uscendo dalla pagina e parlando al lettore.
In quest’ultimo saggio, Ferrante – l’autrice della tetralogia de “L’amica geniale” che presto tornerà su Rai Uno con la nuova stagione, la terza, tratta da “Storia di chi fugge e di chi resta” – lancia un appello, chiama a raccolta contro “la lingua cattiva” storicamente estranea alle verità delle donne e che «non prevede di accogliere la nostra verità», per questo motivo non resta che «confondere, fondere i nostri talenti, non un rigo va perso nel vento».
E ancora, scrive Ferrante in “Storie, Io”, «c’è la pressione del mondo che cambia; c’è la coscienza che ne registra i colpi; c’è una lingua che chiede potere; c’è l’io che scrive, il quale la intuisce e prova a mutare quell’intuizione in frasi vere. Ma il dato di fatto è che non possiamo prescindere dalle vecchie immagini, dalla cattiva lingua».
Lo status quo non è facile da superare («Voglio dire che il nostro io – l’io femminile che scrive – ha avuto davanti un per- corso arduo, si sta ancora aprendo la sua strada, lo farà per chissà quanto ancora») eppure, Ferrante è certa che solo scrivendo, accettando che la scrittura fuori dai margini si perda nel vento, sia possibile provare a fare la differenza: «Ce la possiamo fare», scrive e poi conclude: «Credo che il puro e semplice congiungersi dell’io femminile alla Storia cambi la Storia».
E badate bene, la cattiva lingua fa male a tutti. Non è una questione di genere e dovremmo battere i piedi contro chi vuol erigere steccati, per questo le donne che leggono solo scrittrici e uomini che leggono solo scrittori possono essere parimenti in errore, pur partendo da considerazioni diverse. Mentre la lingua cambia – provando ad adottare nuove grafie – tutti noi, lettrici e lettori, dobbiamo alzare lo sguardo e ragionare sul futuro, perché la lingua cambia mentre cambia anche il mondo. E chi si ferma è perduto.
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