Domenica 22 Dicembre 2024

Entusiasmante mostra di Pericoli a Milano: quando ogni cosa è paesaggio

Un omaggio dichiarato e prezioso:Tullio Pericoli, “Rubare a Klee”, 1980

Lo dicono quasi tutti: quelli di Tullio Pericoli sono sempre paesaggi, sia quando si presentano come tali (con le loro personalissime espressioni) sia quando sono ritratti di personaggi famosi, che sul loro volto hanno incisi percorsi, traiettorie di vita, gioie e dolori. Con questa logica è allestita (fino al 9 gennaio) nell’Appartamento dei Principi a Palazzo Reale la mostra monografica che, con il titolo “Frammenti”, presenta 150 opere dell’artista marchigiano, residente a Milano, noto anche per la sua prestigiosa attività di illustratore e di scenografo. Promossa e prodotta da Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale, Skira Editore e Design Terrae, l’esposizione è curata dal critico d’arte Michele Bonuomo, in collaborazione con l’artista, oggi ottantacinquenne. Infatti è proprio Bonuomo a scrivere sul raffinato catalogo edito da Skira: «Nella sua lunga pratica di pittura si è immedesimato nel paesaggio naturale o in quello di un volto umano, suoi alter ego, muovendosi con disinvolta sprezzatura tra minuscolo e immenso nel tracciare e annotare “vedute” autobiografiche». La mostra comprende un nucleo legato agli anni Settanta e un altro molto più recente, anche con opere datate 2021, per la maggior parte paesaggi, fino ad arrivare a una galleria di alcuni dei suoi famosi ritratti. Ci sono dipinti a olio, acquarelli e disegni, con la prevalenza del formato quadrato. «È il più difficile, soprattutto nel paesaggio – spiega Pericoli – che di solito si pensa debba avere uno sviluppo orizzontale. Invece il quadrato ti costringe a pensare in modo diverso. Per me è il frammento perfetto». E ha ragione, ma con un rischio evidente, che appare maggiore in una sala in cui si fronteggiano in maniera “pericolosamente” speculare (esalta le somiglianze), due grandi pannelli, ognuno con 25 piccole tele (cm 30 x 30): quello che siano «all’apparenza sempre gli stessi» (Bonuomo). Non è così, naturalmente, tutt’altro. Per capirlo e apprezzarlo bene, è utile visitare la mostra fino in fondo, magari rimanerne frastornati, poi tornare indietro e ricominciare, rivedendola – è questo che accade – con un altro punto di vista. È il modo migliore, dopo averli ammirati dall’alto (l’inquadratura preferita dall’autore), per entrare in quei paesaggi, antropizzati per idee più che per segni, quasi da consentire a ognuno di noi di umanizzarli con la presenza viva della nostra curiosità, del nostro personale discernimento, muovendoci nei grovigli e nelle pianure, nelle lande e nelle coltivazioni, fra colline che esprimono anche le gibbosità del nostro pensiero e della nostra visione della Terra. Il percorso può essere irto, però man mano si fa sempre più interessante e coinvolgente, trasformandoci da spettatori delle tele (quindi non più solo autobiografiche) ad attori, come se si possa vedere, o almeno immaginare, noi stessi che ci camminiamo dentro. Nella topografia di questi paesaggi, la matematica diventa sempre più un’opinione; la natura sembra essere sottoposta a una tac, che a seconda dell’uso del colore, talvolta molto scuro, può essere realizzata con il liquido di contrasto o senza. Tutto appare simile e appena mettiamo a fuoco, ecco che vediamo che ogni volta è tutto diverso: siamo sottoposti a una sorta di divaricazione del nostro pensiero, che poi è quella stessa provocata dal difficile rapporto con la natura, quando noi non la rispettiamo e quando lei usa la sua “indifferenza” per esprimersi ben al di là delle capacità umane. Ecco che nelle colline e negli orizzonti si insinuano coltivazioni che ci appaiono come cicatrici o viceversa, niente è deformato ma quasi nulla ha la sua vera forma. Ci sono memorie e ci sono storie, c’è un movimento che contrasta con la fissità solo apparente di ogni paesaggio. Sono millenni stratificati, segnalati da suture che i pennelli e le matite di Pericoli fanno emergere per portarci verso l’inquietudine e il turbamento dell’Uomo che sa di non essere il centro dell’universo. Ma che, nello stesso tempo, conosce anche la sua innata capacità di produrre poesia, di esprimere tanto con poco, di abbellire ciò che apprezza. Ecco, anche se Pericoli dice di dipingere paesaggi «soprattutto per il piacere di dipingere», appare evidente che l’artista ha la capacità di comunicare sensazioni e di produrne di nuove in chi lo segue. Ispirandosi anche a grandi maestri, a cominciare dall’amato Klee, cui dedica un omaggio in mostra. Che quelle linee non camminino sulle tele per caso, lo dimostra ancor di più la sala dei ritratti. Le rughe, gli occhi, le sopracciglia sono significanti della storia e del pensiero di chi è ritratto. Non a caso, si ricorda che Pericoli ha bisogno di conoscere bene le opere degli scrittori prima di poterne ritrarre il volto. Ecco, per esempio, Friedrich Nietzsche con uno sguardo che si perde verso un “attorno” che tende a sfumare; oppure Franz Kafka circondato da un reticolato visionario che lo imprigiona; o ancora Samuel Beckett a fronte inarcata, con uno sguardo attonito verso la vita. Sono le stesse linee che in diversa forma tracciano i paesaggi e la mostra dimostra che ci si può muovere verso (le persone) e dentro (le colline). E – va ribadito - che ogni volta ciò che appare simile è sempre diverso: ciò che sembra un ritorno è un nuovo viaggio.

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