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Tre vite, tre esili, tre anelli e una sola narrazione. Il nuovo libro di Mendelsohn

Quando, nel 1949, il giovane Heinrich Böll (futuro premio Nobel) pubblicò il suo primo breve romanzo “Il treno era in orario”, Gert Kalow scrisse la sua lungimirante recensione sotto il titolo “Attenzione, un poeta!”. Ecco, bisognerebbe parafrasare il critico tedesco di allora, per titolare una recensione al nuovo libro di Daniel Mendelsohn, “Tre anelli – Una storia di esilio, narrazione e destino” (Einaudi), per segnalarlo ai lettori col titolo: “Attenzione, un capolavoro!”.

Forse, fin dal titolo del suo libro, Mendelsohn fa riferimento a qualcosa come la ricerca – per dirla con Montale – di un “anello che non tiene” di un “filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità”. E per essere più precisi, Mendelsohn stesso spiega il “sistema” che utilizza: «Si tratta di una tecnica nota come composizione ad anello. Nella composizione ad anello, la narrazione sembra divagare abbandonandosi a una digressione…». Ma l’allontanamento dalla linea narrativa principale è solo apparente perché la digressione «si rivela in realtà un cerchio» e la narrazione «finisce per ritornare alla storia nel punto esatto in cui se n’era discostata». È assai raro trovare oggigiorno un autore che abbia una visione così chiara delle proprie finalità espressive, che abbia una mano così sicura nella gestione della propria creatività.

In “Tre anelli”, in particolare, Mendelsohn racconta di tre vite e di tre esili. Con fascino borgesiano ricostruisce per noi l’esistenza di tre esuli appunto: del più grande critico del Novecento, Erich Auerbach, ebreo fuggito dalla Germania di Hitler; di François Fenelon, arcivescovo francese del diciassettesimo secolo, una cui velata critica al Re Sole segnò il suo destino; e del romanziere tedesco W.G. Sebald, autoesiliatosi in Inghilterra. Ma la verità è che raccontando di loro, Mendelsohn finisce col ricostruire «passi falsi e scoperte, deviazioni e giri a vuoto, incontri e perdite» della propria vita.

Scrive Sant’Agostino (nelle “Confessioni”): «Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so». Ecco, con il suo nuovo libro, è questo che fa Mendelsohn per noi lettori, risponde poeticamente, con una sapiente struttura costruita sulla concatenazione degli eventi, a una domanda sul trascorrere del tempo. In particolare, prendendo come esempio paradigmatico della letteratura occidentale l’Odissea, si potrebbe dire che attraverso una “composizione ad anello” ci racconta che cos’è una “composizione ad anello”.

Mendelsohn – che è docente di letteratura al Bard College – a proposito delle “digressioni ad anello” all’interno di un romanzo, chiarisce come «digressione non è mai sinonimo di distrazione»: «Tutte quelle svolte e quel girare in tondo convergono in un obiettivo univoco, ovvero aiutarci a comprendere la singola azione che è l’argomento dell’opera di cui fanno parte».

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