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Lo spettacolo di Giorgio Panariello, stavolta voglio raccontare “La favola mia”

Giorgio Panariello

Risate, irriverenza e grandi classici, ma anche attualità ne “La favola mia”, lo spettacolo di Giorgio Panariello che celebra i 20 anni di carriera dal successo del varietà “Torno sabato !”. Inizialmente previsto per il 2020 e rimandato a causa della pandemia, il tour è partito il 21 gennaio da Cascina, dove è stato in scena fino a ieri sera, e farà tappa anche in Calabria e Sicilia, dal 9 febbraio al Teatro Gentile di Cittanova (Reggio Calabria) per arrivare a Palermo (l’11 al Golden), Catania (il 12 al Metropolitan) e Barcellona Pozzo di Gotto (il 14 al Mandanici).

Il titolo richiama una delle più belle canzoni di Renato Zero, la tua imitazione più nota.

«Intanto racconterò la mia favola e questo mi sembrava il titolo migliore per renderla. Renato mi ha permesso di farmi conoscere al grande pubblico: la sua imitazione è stata il cavallo di Troia per entrare nel mondo dello spettacolo. Nel brano c’è un passaggio che dice ”dietro questa maschera c’è un uomo e tu lo sai”; e lo spettacolo racconta proprio cosa c’è dietro le maschere, racconta Giorgio più che Panariello; quindi cosa c’è dietro alla messinscena di ogni personaggio».

Si può dire che la vita di ciascuno è una favola che inizia con un “c’era una volta”. Qual è il tuo “c’era una volta”?

«C’era una volta un ragazzo che ha fatto tanti mestieri nella vita, ma in cuor suo sapeva che nessuno era quello giusto. Non era mai nel posto dove avrebbe voluto essere. Finché questo mestiere nella mia vita ha prevalso ho sempre studiato e lavorato; quindi so cosa significa faticare, guadagnarsi i soldi, credere in qualcosa e anche essere umiliato. Di umiliazioni ne ho avute tante e le racconto nello spettacolo. Questo è il “c’era una volta” della mia favola, che non è finita con un “vissero tutti felici e contenti”, ma appena cominciata».

Cosa puoi anticiparci dello spettacolo? Quali tuoi cavalli di battaglia rivedremo?

«Racconterò gli incontri da quando ero bambino a scuola e i miei zii mi portavano al mare dove vidi i primi bagnini, che mi hanno ispirato il personaggio di Mario; o quando andavo in chiesa con la nonna e c’era il campanaro sempre ubriaco che suonava la campana a morto quando c’era un matrimonio e viceversa; quindi racconterò Merigo con la sua bicicletta e la sua sbornia perenne. O ancora, il ricco signore della Versilia di quando facevo il cameriere, che mi ispirò Naomo. Ci sarà anche il Pierre del Chiticaca di Orbetello, quello del marsupio, perché ho incontrato un tipo così durante il mio lavoro di dj in discoteca. È una bella favoletta con quasi tutti i miei personaggi».

C’è anche molta attualità nello spettacolo. Quali argomenti affronterai?

«All’inizio dello spettacolo raccontiamo gli ultimi due anni attraverso le stranezze che sono accadute. Non si può non scherzare su chi è andato farsi il vaccino col braccio finto, o sulla supponenza di Djokovic che voleva giocare per forza, come anche sull’uomo che si faceva i lavaggi con la candeggina. Ci sono stati nel corso di questi due anni, senza toccare vax e no vax, degli episodi estremi, perché ormai parlano tutti del vaccino senza essere virologi. Anche se ci saranno dei piccoli rimandi all’attualità, lo spettacolo non parla d’attualità ma, citando Bertoli, è uno show “con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”».

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